Dopo aver parlato dell’Aloe barberae, quella che ho definito la specie di Aloe più grande, desidero presentarvi alcune delle Aloe “piccole” tra quelle che in questi anni ho coltivato. Come al solito ho una piccola premessa: dal 1990 avevo incominciato a coltivare un gruppo di piccole Aloe provenienti dal Madagascar; in realtà il venditore non me le aveva vendute come Aloe, ma le aveva spedite come individui di diverse specie del genere Lomatophyllum (Lomatophyllum dal greco λῶμα loma lembo, orlo e φύλλον phýllon foglia), di questo genere avevo letto la presentazione su un vecchio bollettino del Royal Botanic Garden, Kew, del 1974. Incuriosito e interessato dal fatto che anche questo genere, secondo il Kew, appartenesse alla famiglia delle Liliaceae (oggi Xanthorrhoeaceae , ma già Aloaceae e poi Asphodealaceae ), che è la famiglia che studio e coltivo da molti anni, ne avevo ordinato, direttamente da un mio corrispondente in Sud Africa, un certo numero di esemplari.
Una piccola Aloe del genere Lomatophyllum
Qualche mese prima all’Orto Botanico di Roma avevo assistito a una conferenza del direttore della “Cactoteca di Zurigo” il quale, dopo un mese di ricerche botaniche in Madagascar, era tornato con delle immagini interessantissime. Avevo dei forti dubbi sulla correttezza del genere Lomatophyllum, che (a seconda degli autori) veniva accreditato come composto dalle tredici alle diciotto specie, tutte provenienti dalle isole tra il Madagascar, l’isola di Reunion e le Mauritius. Secondo Reynolds e secondo Lavranos (due dei massimi esperti del genere), si trattava di una “sezione” del genere Aloe e non di un genere a sé stante. A mio parere quelle specie erano rimaste “isolate” e alcune (quelle delle isole minori) appartenevano sicuram
ente allo stesso clade, probabilmente di origine malgascia. La differenza con le altre Aloe che coltivavo era apparentemente esigua, ma comunque escludeva la possibilità di ibridazioni naturali tra i due gruppi; ai distratti ricordo che quasi tutte le specie di Aloe sono autosterili (i fiori maschili della stessa pianta non sono in grado di impollinare i fiori femminili). Le differenze più evidenti che ho potuto verificare sono: nelle foglie, che nei Lomatophyllum sono poco spesse e non troppo ricche di succhi e mucillagini, rispetto alle foglie delle Aloe. Poi c’è la fioritura, che pur con fiori aventi strutture molto simili tra loro (racemi, perianzio a tubo, ovaio supero ecc.) compare in periodi diversi: le Aloe fioriscono alla fine della stagione delle piogge, mentre i Lomatophyllum fioriscono, come molte piante succulente, all’inizio della stagione delle piogge (con le prime piogge).Infine i frutti (sempre trilobati) che nelle Aloe sono secchi e contengono semi alati, mentre i Lomatophyllum hanno frutti carnosi e semi più grossi e non alati.
Quello che vi ho raccontato potrà sembrarvi un tecnicismo eccessivo, ma non è così: è solo un modo per farvi capire come mai le piante dei due gruppi non possono ibridarsi in natura e per darvi una pallida idea di quello che fanno gli “esperti”. In realtà non è solo questo che viene preso in considerazione dai botanici, di solito si confrontano le dimensioni delle parti che compongono i fiori, ma anche gli apparati radicali, i semi e ogni altra possibile differenza, compreso gli esami genetici. Tornando al Madagascar, tutti sanno che è un’isola dove sono riusciti a sopravvivere e ad evolversi specie di animali e piante particolari; per me è stupefacente che oltre ai Lomatophyllum nelle stesse zone convivano endemismi isolani di Aloe, non assimilabili ai Lomatophyllum: ho già parlato nel mio precedente libro “Le mie prime venti Aloe” dell’Aloe hawortioides, e dell’Aloe suzannae (entrambe endemiche del Madagascar), ma ce ne sono almeno un’altra decina tra quelle che ho coltivato. Riprendendo il discorso sulle piccole Aloe sudafricane, nel 2005 uno dei miei amici, tornando da una fortunata missione di ricerca entomologica in Sud Africa, mi ha portato in regalo un bellissimo ed esclusivo volume: “Grass Aloes in South African Veld” di Charles Craib. Grazie a quel libro, in cui ho trovato diverse piante che coltivavo, anche se con nomi diversi, sono riuscito a conoscere le Aloe caducifoglie e soprattutto sono riuscito a identificare con sicurezza alcune specie. Oltre a quelle che coltivavo ho potuto conoscere meglio 28 Aloe “erbacee” delle pianure e degli altipiani, che l’autore ha descritto, unitamente a un alto gruppo non erbaceo, con la relativa sociobiologia vegetale. Anche le Aloe erbacee sono sicuramente da considerare “piccole”, pur non essendo le più piccole tra le specie che ho coltivato. “Piccole Aloe” è anche il nome
che prima del 1809 avevano le specie raggruppate dal dottor Duval nel genere Haworthiae, ma di queste specie, che per anni mi hanno appassionato, parlerò in un secondo momento. In questa serie di scritti vi descriverò un piccolo e selezionato gruppo di Aloe che sono piccole o piccolissime, vi anticipo l’elenco in ordine alfabetico:
- Aloe albida con l’incredibile fiore bianco,
- Aloe bowiea in passato chiamata Chamealoe africana,
- Aloe humilis,
- Aloe jucunda la più piccola tra le Aloe a foglia triangolare,
- Aloe kniphofioides (baker),
- Aloe millottii che in terrazza è diventata quasi infestante,
- Aloe parvula,
- Aloe spinosissima un ibrido naturale estremamente diffuso.
Per definire quelle che dovranno essere le “Seconde venti Aloe” il problema è trovare un filo logico che però non dia un’immagine settoriale del genere e contemporaneamente mi permetta di descrivere piante che siano in qualche modo “commerciali”. Da appassionato del genere so quanto sia frustrante voler coltivare una specie senza avere la possibilità di trovarla in commercio.
Tutte le fotografie sono stratte dal libro di Rauh “Succulen and xerophytic plants of Madagascar” Vol.1