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La lavorazione del tè nero, del tè verde e dei semifermentati

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piantagioni di tè

In questo articolo parlerò della lavorazione del tè nero, del tè verde e dei tè semi fermentati. Prima però una riflessione sui tempi e le tecnologie che cambiano.

La globalizzazione ha prodotto dei grandi cambiamenti soprattutto nella produzione di beni non più destinati a una cerchia ristretta, ma a disposizione e alla portata di quasi tutti. Alcuni di questi cambiamenti hanno avuto dei risultati molto positivi, che hanno migliorato le qualità dei prodotti precedentemente commercializzati. Penso al vino, i cui produttori, grazie alla meccanizzazione e alla standardizzazione di alcune tecniche, sono riusciti a far giungere prodotti di qualità al largo pubblico. Nel , negli ultimi cento anni, ci sono stati molti tentativi di industrializzazione, i risultati  migliori riguardano la grande diffusione delle bevande a base di tè e la nascita di una nuova “cerimonia”, questa volta a misura dei “tempi moderni”: la bustina filtro nella tazza. Ci sono nuove lavorazioni che mettono a disposizione  cose impensabili qualche decennio fa: bustine filtro predosate che contengono frammenti, polveri e residui di lavorazione, in grado di produrre infusi che per un esperto sono dei succedanei, come l’uso della cicoria tostata al posto del caffè nel periodo bellico. Tuttavia, grazie alle lavorazioni industriali, sono state migliorate anche le caratteristiche organolettiche di questi infusi che danno l’idea dei tè di cui vantano la presenza sull’etichetta. Ricordo ai miei lettori che, senza essere snob, il tè è un’altra cosa: è un rito fatto di movimenti (a volte eleganti ed essenziali, come in Giappone) e aromi, è cultura, è tradizione familiare o locale, è una coccola esclusiva che possiamo concederci e che possiamo condividere con gli amici, già durante la preparazione. Proprio per questo, e per i risultati che al momento sono ancora insoddisfacenti, molti dei principali produttori sono tornati ai metodi tradizionali che vi racconterò, in modo che possiate comprendere meglio quanta storia, sapienza e lavoro c’è dietro l’aroma del vostro tè.

lavorazione del tèLa lavorazione del tè nero

Il procedimento tradizionale per ottenere un buon tè nero è da secoli suddiviso in quattro fasi tra loro consecutive, tutte e quattro importanti.

  • Appassimento delle foglie

È il primo dei procedimenti e va realizzato immediatamente dopo il raccolto, anche per evitare che le foglioline si deteriorino perdendo i principi attivi in esse contenuti. Le foglie vengono distese su larghi tavoli su cui viene convogliata, naturalmente o con dei macchinari, aria calda, non bollente, che ha il compito di far appassire le foglie rendendole morbide e flessibili, quindi adatte alle successive lavorazioni. Il processo di appassimento dura dalle 16 alle 24 ore.

  • Arrotolamento e selezione delle foglie:

In questa fase le foglie vengono pressate e arrotolate da appositi rulli che oltre ad arrotolarle ne spezzano le membrane intercellulari e ne avviano il processo fermentativo che è il responsabile dell’aroma. La rottura delle membrane libera enzimi ossidanti che sono responsabili di importanti trasformazioni chimiche. Sempre in questa fase le foglie vengono divise a seconda delle loro dimensioni: foglia intera (whole leaf), foglia spezzata (broken), pagliuzze (funning), polvere (dust), per poi essere lavorate separatamente.

  • Fermentazione:

È durante questa fase che si realizzano rapidamente le trasformazioni chimiche di ossidazione delle foglie: le catechine, in presenza degli enzimi ossidanti, originano gli ortochinoni che si trasformano in teaflavine  (gialle) e in tearubigine (rosse), che a loro volta fanno precipitare le proteine.  Per fare in modo che questo processo avvenga correttamente è importante che appena conclusa la fase precedente (arrotolamento) le foglie vengano stese su superfici non lisce in modo da favorire il passaggio dell’aria (e quindi dell’ossigeno) che produrrà l’ossidazione responsabile anche del color bronzo lucente delle foglie. Normalmente le superfici usate sono pavimenti di cemento, banchi d’argilla o reti metalliche. Questo processo deve avvenire in precise condizioni di temperatura e umidità, ma anche nei tempi e nei modi stabiliti. Se il processo è troppo breve la foglia resta verde, il sapore del tè sarà come quello di un frutto acerbo e l’aroma sarà pungente. Una fermentazione lunga addolcisce l’aroma, ma se è troppo lunga lo cancella. In sintesi una fermentazione di giusta durata esalta il colore e addolcisce l’aroma del tè. Normalmente questa fase dura da una a tre ore.

  • Essiccazione delle foglie:

È con l’essiccazione che si interrompe la fermentazione; questo processo, che si ottiene ponendo le foglie su dei piani esposti alla continua circolazione di aria calda e secca, determina anche la durata e la consistenza delle foglie. Anche questo processo deve essere molto preciso nella durata e nella temperatura dell’aria, se il tempo è troppo corto le foglie poi potrebbero ammuffire, un tempo troppo lungo fa asciugare troppo le foglie rendendole friabili.

Alcuni produttori di tè, nonostante i risultati non siano ancora eccelsi, preferiscono, per ridurre i costi, ricorrere alla meccanizzazione del procedimento, ho già avuto occasione di dire che il prezzo è una delle componenti più importanti per la commercializzazione dei tè industriali. Uno dei metodi usati per produrre questo tipo di si riassume nell’acronimo C.T.C. Crushing (frantumare) Tearing (pestare) Curling (spianare). Naturalmente  il prodotto di questa lavorazione meccanica può essere usato solo per realizzare tè di tipo:

  • Broken, un tè sminuzzato, quasi mai di qualità.
  • Fanning, un tè composto da particelle sottili, di seconda scelta, usato per realizzare infusi forti.
  • Dustgrade, polvere di tè, ricca di tannino, di qualità scadente, di solito usata nei sacchetti filtro.

Questi procedimenti meccanici, che permettono di trattare duemila foglie all’ora, praticamente senza mano d’opera, sono usati dai produttori della Georgia, di alcuni giardini dell’India, e dell’Africa; i produttori di Ceylon resistono alla tentazione di meccanizzare e continuano ad usare, come da tradizione, una grande quantità di giovani donne, in questo modo difendono la qualità del loro prodotto.

Lavorazione del tè verdebustina di tè verde

Esistono trattai cinesi antichi che raccontano le modalità di lavorazione del tè verde. Inizialmente le foglie venivano esposte al sole in panieri di bambù, poi, dopo un rapido raffreddamento, venivano posti in uno strato sottile che veniva sottoposto a movimenti e pressioni, sia con le mai che con i piedi, i movimenti erano alternati a periodi di riposo, secondo  un canone stabilito. Poi le foglie venivano torrefatte senza fiamma su un braciere di ghisa. Tutto questo dava la qualità dell’aroma, del colore e del sapore che rendeva il tè eccelso. La lavorazione moderna è abbastanza simile, ed è composta di tre fasi:

  • Vaporizzazione

Le foglie appena raccolte vengono insufflate con il vapore per distruggere gli enzimi responsabili della fermentazione.

  • Essiccazione 

Finita la vaporizzazione, le foglioline vengono collocate su vassoi di fibre vegetali (spesso bambù) posti su tavoli di legno e asciugate lavorandole con le mani. È in  questa fase che le foglie del tè cinese assumono il colore verde oliva e la forma a pallina o a bastoncino. Il tè giapponese invece viene lavorato in modo da diventare aghiforme.

  • Vagliatura

Come ultima fase le foglie ridotte a sferette, o aghi o bastoncini vengono raggruppati per dimensione e forma, in modo da presentare un prodotto finito di forma e granulometria omogenea.

Lavorazione del tè semi fermentato

Per i tè semifermentati (Oolong) vale lo stesso tipo di lavorazione del tè nero, con un’unica ma sostanziale differenza: il periodo di fermentazione (che determina la dolcezza dell’aroma) è ridotto di un tempo che va dal 25 al 60% rispetto al tè nero.

Ora devo scusarmi con voi per i termini strani e per l’inglese: però è proprio con parole in lingua inglese che i tè vengono indicati, classificati e valutati. In realtà un termine inglese l’ho aggiunto io per la considerazione che ho verso un’intera generazione di italiani che è stata abituata a conoscere ed usare solo i tè in bustine filtro; io ho inventato il termine whole leaf (foglia intera), nelle aste e tra gli intenditori non esiste un termine per tè a foglia intera, sono gli altri tè ad avere una classificazione diversa, quello a foglia intera è l’unico tè. Cercherò di farmi perdonare riportando nel prossimo articolo alcune esperienze sul tè che ho fatto in giro in diverse parti del mondo. Ed ora godetevi il vostro tè.

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Dopo aver chiuso alcune delle mie vite precedenti, quella sindacale (da Presidente FIARC Confesercenti a Roma), quella politica (membro effettivo Commissione Centrale Ruoli presso il Ministero del Lavoro), quella da redattore e autore nel mondo della carta stampata (Acquari & Natura, L’acquario ideale, Le mie prime venti Aloe, Piante Grasse), quella da tecnologo nell’elettronica industriale, quella da segretario nazionale dell’Associazione Italiana Amatori delle piante Succulente (AIAS), quella da libraio (Einaudi) a San Lorenzo a Roma, quella di formatore e consulente (master PNL), finalmente da alcuni anni posso dedicarmi alle mie passioni: lo studio e il restauro di orologi antichi (con lavori citati anche in Wikipedia), l’allevamento e lo studio di tartarughe terrestri, la coltivazione di qualche centinaio di piante, la partecipazione alle attività di associazioni naturaliste scientifiche (ERPISA, bibliotecario SRSN), l’alfabetizzazione del WEB con la lotta alle bufale e alle “credenze” prive di ogni fondamento che imperversano in rete, oltre allo studio e alla diffusione della cultura ambientale. luciano@einaudiroma.it

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