Ho chiesto a Fabrizio Geronimo, il responsabile del laboratorio di orologeria, di parlarmi della disposizione degli orologi nelle stanze del Quirinale.
Il mio scopo era quello di scoprire se fossero stati ricostruiti degli ambienti storici, e cosa prevalesse a Palazzo tra l’aspetto museale e quello funzionale. In soccorso dell’orologiaio è intervenuto il dottor Marco Lattanzi che, da storico dell’arte, mi ha ricordato la vera storia dell’occupazione del palazzo del Quirinale. Io avevo preso per buona la “leggenda” secondo la quale il palazzo era stato lasciato vuoto con tutte le porte chiuse, tanto che il fabbro Giovanni Capanna avrebbe aperto (per l’esercito italiano) ben tremila tra serrature e lucchetti. D’altronde proprio per conoscere l’origine degli arredi è importante avere la documentazione sulla situazione dell’epoca, conoscere la cronologia dei fatti realmente avvenuti, depurandoli dalle scorie della leggenda. La storia del Palazzo e la sua trasformazione in reggia sabauda è di solito liquidata con poche parole, ma la realtà è abbastanza complessa, ci furono diversi sviluppi e soprattutto su questi avvenimenti esistono due punti di vista e quindi due narrazioni non proprio coincidenti: quello sabaudo e quello pontificio. Nella storia ufficiale i fatti sono stati semplificati e così il popolo, in mancanza di una storia dettagliata e univoca, ha colmato la carenza con racconti di fantasia e di parte.
Roma nel 1870
Non voglio annoiarvi con troppi particolari, ma è importante comprendere di cosa stiamo parlando; secondo il libro di Miriam Mafai “Roma cent’anni fa”:
“Duecentoventimila abitanti, dei quali quasi la metà senza professione ma che se la cavavano vivendo di espedienti e di beneficenza. 65 botteghe di fabbri ferrai, 12 di armi, 9 di coltelli, una decina di manifatture di lana, seta e cotone, 38 tipografie, una grande manifattura tabacchi, 20 piccole fornaci, 1500 orefici, 31 negozi di anticaglie e belle arti, 323 chiese, 221 case religiose, 340 opere pie, 50 alberghi e locande, 30 trattorie e centinaia di osterie: questa era Roma nel 1870.”
Non c’era più la ricchezza di una volta, la stessa corte papale viveva in modo austero non per una scelta morale, ma per esigenze economiche, Roma bruciava ricchezze senza produrne. Intorno ai palazzi patrizi centinaia di case estremamente povere mostravano al viandante quella che era la “realtà socioeconomica”
Il Palazzo del Quirinale era occupato in gran parte dagli alloggi (spesso miseri) dei servitori e da quelli di alcuni anziani ex dipendenti, poi c’erano le stalle e gli alloggi delle guardie svizzere. Quando l’esercito piemontese si avvicinò al confine dello Stato Pontificio, Pio IX fece portare in Vaticano parte degli arredi dell’appartamento papale, ed egli stesso vi si era trasferito.
Nel Quirinale era rimasto un drappello di guardie svizzere, alcuni prelati, il responsabile del Palazzo e tanta povera gente. La storica Emilia Morelli ha pubblicato una documentatissima ricerca su “Achivum Historiae Pontificiae” Vol. 8 1970, che potrete leggere qui dal titolo “Il palazzo del Quirinale, da Pio IX a Vittorio Emanuele II” in cui riporta, grazie a testimonianze e documenti, lo svolgersi degli eventi giorno per giorno, dai vari punti di vista: chi vorrà approfondire potrà farlo.
Il primo ottobre 1870, avvenne la “presa di possesso”, non la confisca, del Palazzo e dei locali limitrofi, scoprendo che ancora erano presenti nel Palazzo le guardie svizzere (a loro venne indicato di andare in Vaticano, con le proprie armi e gli arredi dei propri alloggi e alle guardie con famiglia furono concessi due giorni per il trasloco); oltre alle guardie c’erano anche alcuni poveretti che vennero sloggiati. La breccia di Porta Pia c’era già stata diversi giorni prima (20 settembre 1870) e Pio IX, che aveva perso la protezione dei francesi, era al sicuro nei palazzi vaticani. Il comandante delle truppe papaline aveva concordato la resa con il generale Cadorna e la resa prevedeva il rispetto dei luoghi di culto, la conquista doveva avvenire senza troppa violenza: Vittorio Emanuele II non voleva passare per il “diavolo” contrapposto al santo Padre. Così solo il primo ottobre e senza una compagnia militare, ma con solo tre o quattro persone e addirittura senza il delegato della Corona (il generale La Marmora), il notaio Pietro Frattocchi accompagnato dal delegato del generale La Marmora e da alcuni testimoni mise le biffe a sigillo dell’appartamento papale, l’apertura dei lucchetti e l’inventario avvenne solo dopo diversi giorni, l’otto novembre. Gli arredi rimasti, inventariati con cura dal notaio Frattocchi furono accantonati in magazzini per poi essere in parte reintegrati nella ristrutturazione sabauda. Vittorio Emanuele II, dopo aver visitato il Palazzo diversi mesi dopo la confisca, stabilì molte modifiche per adattarlo alle esigenze della corte ma non tutte vennero immediatamente eseguite: per le modifiche il ministro Quintino Sella aveva preventivato l’importo di circa un milione, rifare tutto di nuovo sarebbe costato troppo, così scrisse a La Marmora per raccomandargli di recuperare e riutilizzare tutto il possibile. Vennero importati diversi mobili dalle residenze reali sparse in varie città piemontesi e dalla reggia di Colorno, vicino Parma, la reggia dove viveva Maria Luigia (la duchessa di Parma e Piacenza). Furono Umberto I e soprattutto sua moglie Margherita (la regina alla quale fu dedicata la omonima pizza tricolore) che completarono la ristrutturazione Sabauda. Lo stile prediletto dalla regina Margerita era il Luigi XIV (il Re Sole), il mobilio però era principalmente di stile neo rococò (1830-1880) e neobarocco; alcuni mobili furono realizzati per completare gli arredi, e gli orologi, indipendentemente dalla loro storia e dalla loro provenienza, vennero usati come complementi d’arredo. Ricordo che Roma venne proclamata “Capitale d’Italia” il 3 febbraio 1871 e che “ufficialmente” Vittorio Emanuele II venne a Roma per insediarsi nel Quirinale il 2 luglio 1871. Il 2 luglio è considerata una data “propizia” per chi segue il calendario gregoriano, infatti è il giorno centrale dell’anno.
La percezione popolare e la realtà storica
Il sito ufficiale del Quirinale è ricco di informazioni e l’importanza, sia storica che simbolica, del Palazzo ha ispirato decine di importanti volumi e di servizi televisivi (molti collegati al sito ufficiale) che hanno cercato di rendere il Palazzo trasparente, in linea con la definizione del nostro Presidente che lo vuole “La casa degli italiani”. Nonostante questa mole di informazioni, basta chiedere in giro per accorgersi che la percezione dell’origine degli arredi e delle opere d’arte del Quirinale è ben diversa dalla verità storica. Ho potuto verificare che la percezione dell’origine degli arredi cambia a seconda della tipologia degli oggetti di cui si sta parlando.
Gli orologi del Palazzo
Per quanto riguarda gli orologi, anche grazie alle esposizioni e alle pubblicazioni, sono molti a conoscere il periodo storico in cui sono collocabili molti dei pezzi esposti nelle sale del Quirinale, ma se cercate di approfondire le origini della “collezione” scoprirete che la maggior parte delle persone vi risponderà che sono stati lasciati dai francesi dopo l’occupazione napoleonica dello Stato Pontificio. Questo, anche se non è vero, è un feedback positivo per la mostra “Segnare le ore” che ha avuto grande risonanza sulla stampa nazionale, che evidenziava l’accostamento tra le pagine dell’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert (“Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri”), e gli orologi esposti: prevalentemente pendoleria francese circoscrivibile dallo stile Luigi XIV allo stile Secondo Impero. È sicuramente vero che i francesi alla fine di febbraio 1798 arrestarono Pio VI, il quale non poteva accettare le novità introdotte dalla rivoluzione che gli negava il potere di eleggere i vescovi. Il Papa venne allontanato da Roma e dopo varie peripezie fu portato a morire in Francia (a Valence) il 29 agosto 1799. Ma poi Pio VII (nominato nel conclave di Venezia, visto che Roma era occupata dai francesi) tornò a Roma e realizzò un concordato con la Francia e, tramite Napoleone, un ulteriore concordato con la “Repubblica Italiana”, in cui si riconosceva la religione cattolica come religione di Stato. Proprio la gestione dei concordati portò ai contrasti con Napoleone Bonaparte il quale nel 1809 fece arrestare Pio VII, che rimase prigioniero dei francesi fino al 1814. Proprio in questo periodo Napoleone diede inizio ai lavori di ristrutturazione del palazzo del Quirinale: l’architetto Raffaele Stern aveva avuto l’incarico di trasformare il palazzo in reggia imperiale. Roma era destinata a diventare la seconda capitale dell’impero napoleonico, dopo Parigi. Napoleone, sconfitto a Waterloo, non riuscì mai ad utilizzare il palazzo e Pio VII, tornato a Roma, si mise d’impegno a cancellare le ristrutturazioni napoleoniche. Servendosi dello stesso architetto (Raffaele Stern) il Papa fece risistemare la Cappella Paolina e completare la piazza con la Fontana dei Dioscuri. Gli orologi quindi non erano stati lasciati da “distratti” funzionari francesi ma furono successivamente portati a Roma dai Savoia che li avevano prelevati da regge piemontesi e dalla reggia di Colorno (quella di Maria Luigia, la seconda moglie di Napoleone e soprattutto la madre del suo figlio maschio Napoleone Francesco); come ha precisato il dottor Marco Lattanzi: “Nel Quirinale non si conserva nessun arredo realizzato per il Quirinale napoleonico”.
Gli arazzi e i mobili a Palazzo
Per gli arazzi la percezione è diversa, la maggior parte delle persone alle quali ho chiesto di indicarmene la provenienza ha dichiarato che i principali temi raffigurati e quindi anche la committenza erano sicuramente religiosi: ad influenzare la risposta questa volta è stata la mostra degli arazzi realizzati dai cartoni di Raffaello per la Cappella Sistina. Secondo i miei interlocutori gli arazzi erano arredi di proprietà vaticana rimasti nel palazzo dopo l’occupazione piemontese. Anche questa volta la risposta non ha tenuto conto della storia. Gli arazzi presenti nella collezione del Quirinale sono stati raccolti in giro per arredare degnamente il Palazzo. Alcuni provengono dall’arazzeria medicea, altri da quella napoletana, molti sono stati recuperati da palazzi ormai chiusi che precedentemente erano usati dalle amministrazioni locali. Solo successivamente, grazie al lavoro di schedatura e di conservazione, i responsabili del laboratorio degli arazzi hanno cercato di ricostruire le serie principali: la serie più importante per numero di pezzi è quella su Don Chisciotte (oltre 102 panni). Anche per quanto riguarda i mobili, nonostante quello che ho anticipato sulle attività della Regina Margherita, sono molti a credere che siano i residui dei vecchi ambienti, solo una delle persone a cui l’ho chiesto ha ipotizzato che nel 1945 sia stato dato l’incarico ad alcuni architetti dell’epoca di arredare quella che sarebbe stata la sede del Capo dello Stato. In realtà il primo presidente (Luigi Einaudi) una cosa la fece fare subito, fece cambiare i pomelli dorati delle porte su cui erano incise le insegne sabaude. Come rilettura storica è sicuramente interessante, ma in quegli anni la guerra aveva lasciato non un palazzo da arredare ma un intero Paese da ricostruire.