Tra i coralli in commercio quello di Sciacca è probabilmente tra i più preziosi, la ragione è che è un corallo quasi fossile i cui banchi sono esauriti dalla fine del 1800. Oltre alla sua rarità è anche affascinante per le sue sfumature che vanno dall’arancione carico al rosa chiaro, al nero, e per la sua storia.
La storia del corallo nel Mediterraneo
Il Corallium rubrum è diffuso in natura nell’Atlantico orientale e in tutto il Mediterraneo dalla Grecia alla Tunisia, ma anche sulle isole, dalle Baleari alla Corsica, alla Sardegna e alla Sicilia. Da secoli le popolazioni dei paesi costieri si sono attrezzati per la raccolta e la successiva lavorazione di questo materiale prezioso. Dalla storia si ha notizia che i banchi di coralli crescevano davanti alle città costiere e i pezzi raccolti venivano utilizzati per realizzare gioielli; purtroppo già nel Medioevo questi banchi hanno incominciato a sprofondare per colpa dell’attività vulcanica molto presente nei nostri mari. Di solito il colore del corallo del Mediterraneo è rosso, non sempre compatto e privo di impurità. Il più pregiato è il “cerasuolo”. Diversamente il corallo rosa o bianco proviene dall’Oriente ed ha dimensioni maggiori rispetto a quello nostrano. Ma c’è un’eccezione: il corallo sub fossile di Sciacca. È appunto l’attività vulcanica all’origine del ritrovamento e della raccolta del corallo sub fossile di Sciacca. Si chiamano “sub fossili” i resti di un animale o di un vegetale il cui processo di fossilizzazione non si è completato. I motivi di questo fenomeno sono diversi, potrebbero essere i resti di individui morti da troppo poco tempo oppure il processo potrebbe essere limitato e condizionato dal luogo o dalle circostanze in cui gli individui sono morti.
Tornando al corallo di Sciacca, l’attività vulcanica è alla base della sua scoperta e probabilmente anche della sua formazione e origine.
La scoperta del corallo di Sciacca
Tutto iniziò nel luglio del 1831 quando, a trenta miglia da Sciacca, in direzione di Pantelleria, un’eruzione vulcanica fece emergere un’isola a ben 65 metri sul livello del mare, la cui superficie di circa quattro chilometri quadrati era la punta di un cono vulcanico. Chi riuscì a visitarla la descrisse come un ammasso roccioso con due laghetti sulfurei in ebollizione e un torrentello dovuto alla tracimazione dei laghetti. Oggi sappiamo che si trattava di una bocca secondaria di uno dei tanti vulcani sottomarini presenti nel Mediterraneo, l’Empedocle, un vulcano con la stessa forma dell’Etna ma con un’altezza sul fondale marino di circa 500 metri. L’isola venne immediatamente contesa dalle potenze marinare che all’epoca cercavano l’egemonia di quei mari. Iniziarono gli Inglesi, che ad agosto del 1831 presero possesso dell’isola in nome di sua maestà, la battezzarono isola Graham e vi piantarono la bandiera britannica. A settembre i Francesi ribattezzarono l’isola con il nome Iulia (per il fatto che era emersa a luglio), la studiarono geologicamente, scoprendo che stava degradando rapidamente. Issarono la loro bandiera francese e lasciarono una targa a documentare l’avvenuta conquista. Tutto questo senza che Ferdinando II di Borbone (che era a capo del Regno delle Due Sicilie) ne fosse informato. Anche Ferdinando II, quando venne a sapere dell’accaduto, mandò una spedizione per rivendicare il legittimo possesso dell’isola, su cui a fine ottobre venne piantata la bandiera borbonica, e venne nuovamente cambiato il nome, questa volta in Isola Ferdinandea. Stava per scoppiare una vera guerra mondiale anche perché gli inglesi non avevano intenzione di cedere il possesso dell’isola e mandarono una nave cannoniera per sostenere i loro diritti. Per fortuna a fine novembre 1831 l’isola si inabissò e, mancando la materia del contendere, la controversia finì. Nel 1846 e nel 1863 l’isola riapparve per scomparire dopo pochi giorni. Oggi quello che resta dell’isola è a circa 7 metri sotto il livello del mare.
Come dicevo l’isola, e soprattutto il vulcano che la ha prodotta, è all’origine della formazione del corallo sub fossile di Sciacca. Infatti il 10 maggio del 1875 tre pescatori, Alberto Maniscalco, (detto “Bettu Ammareddu”), Giuseppe Muschilda e Alberto (detto “Occhi di Lampa”), nel ritirare la rete a strascico sulla loro barca a vela, vi trovarono impigliati diversi rami rossi di corallo. Alberto Maniscalco tornò giorni dopo sul posto della strana pesca e scoprì, a un centinaio di metri di profondità, un ricchissimo banco di corallo su una pendice di quello che rimaneva dall’isola Ferdinandea. Il banco, di circa quattro ettari, era formato da rami di coralli morti e alcune volte già staccati dalla roccia. Il banco iniziò ad essere sfruttato intensamente specialmente dai pescatori di Torre del Greco e sembrava essere inesauribile. Nel 1878 nella stessa zona (a poca distanza dal primo) venne scoperto un secondo banco delle stesse dimensioni del primo, ma con rami di dimensioni maggiori e con meno impurità. Nel 1880, cinquanta metri più in basso rispetto ai primi due, venne scoperto un terzo banco, questa volta enorme, di ben 120 ettari: un vero pozzo da cui, solo nel 1880, vennero estratti quasi 5.000 tonnellate di corallo. Alla fine del 1800 i tre giacimenti si esaurirono.
Il particolare colore di questo corallo
Le molte tonalità e sfumature di questo corallo non sono state ancora spiegate scientificamente e a 120 anni della fine della raccolta non c’è molto interesse a finanziare questa ricerca. Le ipotesi più credibili ne attribuiscono l’origine all’attività del vulcano che ha prodotto zone con acque calde dove il corallo cresce rapidamente; sempre il vulcano, con le sue emissioni gassose, ha poi fatto morire i coralli dei banchi che successivamente, staccati dalle correnti marine e dai frequenti terremoti, si sono depositati sui fondali fangosi e sabbiosi da cui sono emersi a causa di altre scosse di terremoto.
Il nuovo corallo di Sciacca
Finito lo sfruttamento dei tre banchi del corallo sub fossile, nel 1900 ripresero le ricerche e lo sfruttamento dei nuovi banchi, questa volta di coralli vivi. Verso la fine del secolo scorso queste attività vennero regolamentate e limitate, soprattutto per preservare la presenza e la crescita del corallo anche sulle coste italiane. Da allora è ripresa in modo più ridotto l’attività dei raccoglitori e il corallo lavorato è tornato ad essere quello rosso, solo alcuni vecchi gioiellieri hanno ancora piccole scorte del corallo sub fossile di Sciacca. L’ “Ingegno”, il nome dato allo strumento di raccolta, ora non può essere usato indiscriminatamente. L’ “ingegno” è il metodo di estrazione del corallo, usato in quasi tutto il mondo, ed è formato da due pesanti travi disposte a croce alle cui estremità sono fissate delle robuste reti da strascico. Le travi vengono trascinate sul fondo ed hanno il compito di rompere i rami del corallo che poi vanno a cadere nelle reti. Purtroppo questo metodo distrugge l’habitat del corallo e di tante altre specie.
Il prezzo del corallo
La valutazione del corallo è simile a quella delle gemme preziose e quindi non c’è nessuno in grado di dare un’indicazione, neppure di un prezzo medio. A questo si aggiungono le variazioni del mercato che, a loro volta, dipendono da fattori economici e finanziari. A nostro vantaggio, rispetto ai diamanti, c’è che il corallo non è considerato un bene rifugio.
Posso comunque darvi alcuni parametri che sono presi in considerazione, dai professionisti del settore, per la valutazione al grammo del corallo e quindi anche di quello fossile di Sciacca:
- La dimensione dell’oggetto che stiamo valutando
- Il grado di purezza del corallo
- Il colore, sfumature comprese
- La pulitura del pezzo
- Il taglio e il valore artistico del pezzo
La documentazione di origine, o la certificazione che attesta la “qualità” di corallo antico di Sciacca. Quest’ultima caratteristica aumenta la valutazione, rispetto anche a pezzature di dimensioni inferiori.
Alla fine però ricordate che il valore reale di un materiale è quello che siamo disposti ad attribuirgli: con la storia che vi ho raccontato spero di aver influito sulle vostre scelte.