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    Frutti dimenticati e antiche coltivazioni

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    frutti dimenticati

    Se non siete giovanissimi vi sarà capitato di aver mangiato dei frutti che ora non si trovano più, frutti che l’industria agroalimentare ha destinato al declino, sostituendoli con prodotti più redditizi. Oggi si sta tornando a valorizzare quei frutti, sia per l’importanza che è attribuita alla biodiversità sia per riscoprire le tradizioni e i sapori locali, spesso collegati alla cultura del territorio. Vi voglio parlare proprio di questi frutti iniziando col raccontarvi cosa mi ha spinto a farlo.

    Una premessa sulle antiche coltivazioni

    Qualche giorno fa mi sono imbattuto nel nome del paese in cui è nata mia madre: Sorbolo, in provincia di Parma. Da curioso mi sono messo a cercare l’origine del nome scoprendo che tutti concordano con attribuirlo al fitonimo derivante dal Sorbus domestica, una pianta che da secoli gli antichi romani coltivavano nella zona della “bassa” parmense. La “bassa”, come dicono i parmensi, è un territorio pianeggiante largo circa 15 chilometri, che costeggia le rive del Po nelle vicinanze della città, una zona tra Piacenza e Reggio, ricca di storia. Si tratta di un territorio di grande bellezza, in cui trionfa la biodiversità, anche se dal dopoguerra è molto cambiato, infatti l’agricoltura, che per secoli serviva principalmente ai bisogni delle famiglie, negli ultimi anni è diventata intensiva e spesso finalizzata all’industria; si è passati dalla coltivazione delle barbabietole destinate all’ex zuccherificio Eridania (a Colorno) alle viti soprattutto per la produzione vinicola. La vicinanza del paese alla città di Parma e alla zona industriale, specializzata nell’industria casearia, ma anche conserviera ed agroalimentare (Barilla ed altri), ha contribuito all’urbanizzazione del territorio, conservando però una elevata qualità della vita ben diversa da quella delle periferie urbane. È così che i miei ricordi di gioventù sono diventati l’occasione per parlare degli antichi frutti italiani, a partire dalle sorbole che hanno dato il nome al paese dove è nata mia madre.

    Esclamazione “Sorbole!” come “Capperi!”

    “Sorbole!” è anche un’esclamazione che in Emilia viene usata per esprimere sorpresa, stupore ma anche dolore e a seconda dell’ambiente in cui è pronunciata viene considerata di origine più o meno scurrile. Da emiliano posso dire che l’esclamazione è molto simile a “capperi!”, ma forse se ne è persa l’origine e la storia. Per supplire a questa mancanza vi racconto cosa si considera in Portogallo all’origine dell’esclamazione “capperi!”. Nei primi decenni del 1700 il marchese di Pombal iniziò i suoi viaggi all’estero che poi avrebbe continuato durante la sua carriera di diplomatico e poi da Primo ministro. Il marchese era ancora giovane e non aveva alle spalle una famiglia particolarmente ricca. Tornato a corte in Portogallo dopo il suo primo viaggio alla reggia di Versailles gli chiesero cosa lo avesse più colpito ed egli rispose: “Capperi! Capperi!”. Non aveva mai visto tanta magnificenza e tanti fiori di cappero tutti insieme e ne era rimasto veramente meravigliato. Da allora l’esclamazione venne usata in Portogallo come espressione di piacevole meraviglia.

    Le Sorbe o Sorbole

    Anche il frutto del sorbo è sorprendente. Mi auguro che anche voi abbiate mangiato le sorbe, ma spero per voi che le abbiate scelte mature. Le sorbe, come i caki e le nespole, hanno bisogno di essere consumate molto mature, altrimenti il sapore è astringente (alcuni direbbero che allappano); la maturazione completa per queste piante è autunnale e questo ha reso necessario per le sorbe l’uso dell’ammezzimento, ossia del processo di maturazione dei frutti che, colti acerbi, vengono lasciati  maturare nella paglia: “Con il tempo e con la paglia maturano le sorbe” è diventato un modo di dire usato anche al di fuori dell’ambito agricolo. Con l’ammezzimento i tannini vengono trasformati e gli zuccheri nei frutti raggiungono ben il 20% del contenuto del prodotto. A proposito dello zucchero, quello delle sorbe è così specifico da prendere il nome “sorbitolo” proprio dal frutto, ed è uno zucchero che per le sue caratteristiche chimiche può essere usato anche dai diabetici. Probabilmente avrete avuto occasione di assaggiarlo come prodotto di sintesi, molto usato dall’industria alimentare, segnalato in etichetta con la sigla E420. Oggi le sorbe sono considerate dei frutti rari, coltivati soprattutto per essere usati come additivi in preparazioni alimentari, ma la loro fortuna sembra tornare grazie ai sostenitori dei prodotti naturali che le hanno fatte riscoprire e alle associazioni che le propagandano e ne vantano le proprietà, sollecitandone la coltivazione assieme ad altre piante, oggi definite antiche, che ugualmente voglio ricordarvi.

    Sorbolo

    Il Corniolo

    Corniolo (Cornus mas) ha origini mediterranee; la pianta anticamente era usata soprattutto per la durezza del suo legno come asta delle lance e delle frecce. Anche il frutto del corniolo (come quello del sorbo) è commestibile solo se ben maturo, il sapore ricorda quello delle amarene, ma il nocciolo è molto duro ed oggi è usato in alcuni centri benessere per riempire piccoli cuscini usati per riscaldare alcune zone del corpo. I semi, se messi nel microonde, conservano a lungo il calore e, quando vengono scaldati, emettono un piacevole aroma. I frutti del corniolo (delle drupe carnose e con un nocciolo duro, simili alle olive) possono essere mangiati quando cadono dalla pianta, il loro colore è rosso scarlatto. La pianta è conosciuta fin dall’antichità e intorno al corniolo sono nate diverse leggende: del legno di corniolo proveniente dal bosco consacrato ad Apollo era fatto il cavallo di Troia, di corteccia di corniolo erano costituite le robuste corde che formavano il “Nodo Cordiano” che bloccava il carro di Cordio, il nodo sciolto da Alessandro Magno con un colpo di spada. Secondo la leggenda sulla fondazione della città di Roma, di corniolo era fatto il giavellotto (cornus) usato da Romolo per tracciare i confini di Roma, giavellotto che, lanciato sul colle Palatino, si conficcò nel terreno e l’asta radicò: sul colle Palatino per secoli fu coltivato un grande corniolo proprio per ricordare il giavellotto di Romolo.  Nel 2009 durante uno scavo archeologico furono rinvenute radici fossili di corniolo sul versante est del Palatino, a riprova che la pianta era presente nella zona ben prima della fondazione di Roma. Il frutto del corniolo piace molto agli uccelli e piantare in giardino un albero di corniolo assicura la loro presenza.

    Bacche di Corniolo

    Le Giuggiole

    Ziziphus jujuba  o Z. sativa, essenza di origine asiatica, ma portata in Italia già dalle popolazioni greco-italiche, fino al secolo scorso era comune come pianta lasciata crescere in territori residuali e i frutti, gli ultimi a raggiungere la maturazione, erano usati per il famoso “brodo di giuggiole”. Personalmente mi piacciono le giuggiole quando sono appassite: lo scorso anno le ho trovate in vendita nel reparto ortofrutta del supermercato all’interno del centro commerciale vicino a casa.

    Albero di Giuggiole

    I Corbezzoli

    A Fregene in giardino avevamo un albero di “cerase di mare”, il nome comune usato nel Lazio per indicare il Corbezzolo, così ho potuto sperimentare di persona la ragione per cui viene considerato “l’albero patrio italiano”: in alcuni periodi nelle sue fronde sempreverdi sono presenti sia i frutti rossi che i fiori bianchi, ossia tutti i colori della bandiera nazionale. Ma ho potuto anche sperimentare la ragione per cui Plinio lo indicò come “unum edo”. Il nome scientifico del Corbezzolo è Arbutus unedo, infatti Carlo Linneo per la sua nominalizzazione usò quella indicata da Plinio: “unedo” da “unum edo”, ossia “ne mangio uno solo”. Anche in questo caso, attratto dalla bellezza di quei frutti, ne assaggiai uno, ma forse perché non era molto maturo lo trovai immangiabile. Quindi il mio consiglio è, ancora una volta, di assaggiare solo i frutti molto maturi. La pianta del Corbezzolo è estremamente diffusa sulle coste del mar Mediterraneo, ed è presente in Spagna, Portogallo e sulle coste nordafricane, tuttavia non mi è mai capitato di trovare in vendita i frutti. Sempre a Fregene ho potuto apprezzare la farfalla del Corbezzolo (Charaxes jasius) con i suoi bellissimi colori.

    Corbezzolo

    L’Azzarolo o Azzeruolo

    L’Azzarolo è il nome comune con cui ho conosciuto il frutto dell’Azzeruolo (Crataegus azarolus), una pianta presente in tutte le regioni costiere italiane, ma soprattutto in Sicilia. Il frutto sembra una piccola mela con un lungo picciolo: le uniche azzeruole che ho mangiato erano conservate nella grappa, non mi è mai capitato di mangiarle fresche, ma ho letto che nell’Ottocento i coltivatori italiani erano riusciti a realizzare dei cultivar capaci di produrre i migliori frutti di tutta Europa. Ho saputo da un amico siciliano che di solito le piante di azzeruolo vengono innestate sui biancospini.

    Azzeruolo

    I frutti italiani definiti “antichi” sono molti di più, ad esempio non vi ho parlato della mela cotogna: le cotognate (marmellate di cotogna) erano i miei dolci preferiti, ma ora si trovano solo nei negozi di prelibatezze alimentari (per nostalgici che non temono le calorie). Per gli altri frutti “rari” direi che spesso sono stati proprio i produttori a renderli rari, sostituendoli con piante in grado di produrre un reddito maggiore, alcune specie invece, come le pesche tabacchiere etnee, sono diventate estremamente diffuse, anche se in commercio si trovano solo cultivar con caratteristiche commerciali ben diverse dalle piccole e profumatissime pesche che si potevano gustare alle pendici dell’Etna. Le imitazioni sono diverse dall’originale, ma meglio quelle di niente!

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    Dopo aver chiuso alcune delle mie vite precedenti, quella sindacale (da Presidente FIARC Confesercenti a Roma), quella politica (membro effettivo Commissione Centrale Ruoli presso il Ministero del Lavoro), quella da redattore e autore nel mondo della carta stampata (Acquari & Natura, L’acquario ideale, Le mie prime venti Aloe, Piante Grasse), quella da tecnologo nell’elettronica industriale, quella da segretario nazionale dell’Associazione Italiana Amatori delle piante Succulente (AIAS), quella da libraio (Einaudi) a San Lorenzo a Roma, quella di formatore e consulente (master PNL), finalmente da alcuni anni posso dedicarmi alle mie passioni: lo studio e il restauro di orologi antichi (con lavori citati anche in Wikipedia), l’allevamento e lo studio di tartarughe terrestri, la coltivazione di qualche centinaio di piante, la partecipazione alle attività di associazioni naturaliste scientifiche (ERPISA, bibliotecario SRSN), l’alfabetizzazione del WEB con la lotta alle bufale e alle “credenze” prive di ogni fondamento che imperversano in rete, oltre allo studio e alla diffusione della cultura ambientale. luciano@einaudiroma.it

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