Il 17 dicembre a Roma, nella sede dell’associazione per le Arti floreali (maestri di Ikebana, Kado e pittura botanica), ho presentato un mio libro: La via dei maestri del tè. L’ambiente era particolarmente stimolante e così siamo rimasti per oltre un’ora e mezza a scambiare esperienze, sui vari tipi di tè, sulle differenti qualità, sulla storia della produzione, ma anche dei consumi del tè nelle varie nazioni, compresa l’Italia.
Non tutti gli italiani sono caffeinomani
Naturalmente la cultura italiana è più legata al caffè, alla “moka” o all’espresso del bar, e non solo nell’Italia del Sud. La cultura italiana sul tè è limitata e soprattutto esclusiva, anche se la storia della degustazione del tè in Italia è millenaria, sicuramente più antica di quella di molte nazioni che ora ne hanno fatto la bevanda nazionale. Nel mio libro ho affrontato e approfondito i problemi legati alla produzione di tè nel mondo e ai diversi modi di consumarne l’infuso. I miei ospiti, maestri nelle arti decorative giapponesi, erano stupiti dall’esclusione del Giappone dal gruppo delle maggiori quattro nazioni produttrici, tuttavia non sempre quantità e qualità si trovano unite insieme. Solo per ricordarlo, le quattro nazioni più importanti per il tè nero, nel 2010, sono state:
India 885.000 tonnellate
Cina 770.000 tonnellate
Kenya 370.000 tonnellate
Turchia 205.000 tonnellate
mentre per il tè verde (sempre nel 2010) le prime quattro nazioni in ordine di produzione sono
Cina 600.000 tonnellate
India 120.000 tonnellate
Kenya 20.000 tonnellate
Turchia 10.000 tonnellate
Nel 2015 la produzione complessiva è stata di 5.306.000 tonnellate
Nel vantare le qualità delle produzioni nazionali mi sono trovato a parlare della grande qualità del tè prodotto in Italia in Lucchesia e, anche se lo scorso anno la produzione in quella regione non ha superato i quindici chili, pensate alla mia sorpresa quando due giorni dopo su Il Sole 24 ore ho letto del riconoscimento assegnato dal Ministero dell’Agricoltura cinese al primo tè nero prodotto in Italia sul Lago Maggiore.
Al Tè Nero del Verbano è stato assegnato il Gold Award per la categoria dei Tè neri internazionali, il premio organizzato da Tea Industry Committee of China dell’International Black Tea Tasting Competition: i quindici giudici provenienti da Cina, Taiwan, Sri Lanka, Corea, Malesia, Nepal, Vietnam, Kenya, USA, Danimarca, Australia, Russia, hanno scelto la produzione italiana tra ben 40 tè presentati da altrettanti produttori provenienti da ogni parte del mondo.
Il Tè Nero del Verbano
Ho avuto più volte l’occasione di spiegare il rapporto che i cinesi hanno con il tè nero: lo considerano una medicina o una bevanda destinata ai “barbari”, che poi saremmo noi occidentali. L’enfatizzato riconoscimento della prima produzione di tè nero nella zona di Verbania però ha poco a che fare con la reale produzione di tè in Italia e con il suo possibile sviluppo. Questo purtroppo non piacerà ai miei amici di Verbania che hanno capacità e tradizioni di esperti coltivatori, soprattutto per essenze rare e difficili da coltivare. La quantità prodotta nella zona è veramente esigua e marginale, tanto da far pensare a un riconoscimento politico, più che a un reale premio per la qualità ottenuta nella produzione.
Per quello che ho potuto scoprire, intorno al lago Maggiore vengono coltivate circa 3.000 piantine di un cultivar, particolarmente resistente al freddo, ottenuto da un ibrido tra alcune varietà di Camellia sinensis. Al momento la produzione annua nella zona di Verbania è di circa 10 chili. Di quale produzione stiamo parlando? Sarà bastata per permettere agli assaggiatori di valutarne a pieno le caratteristiche organolettiche? Sicuramente non rappresenta per nessuno dei produttori giudicanti una reale concorrenza.
In Italia consumiamo annualmente 4.200 tonnellate di tè e una quantità ben ottanta volte maggiore di caffè, il problema è che da noi è ancora scarsa la cultura sul tè, così la maggior parte del tè venduto in Italia è di scarsa o media qualità, quasi sempre confezionato in bustine filtro, al punto che anche i dati del nostro consumo sono espressi in bustine filtro equivalenti.
Secondo i dati ISTAT ogni cittadino italiano (neonati compresi) in tutto il 2018 ha usato l’equivalente di 35 bustine filtro di tè, poco meno di 70 grammi a testa. Pensate alla mia sorpresa nel leggere, sulla stessa pagina di Il Sole 24 ore, che il mercato italiano del tè è cresciuto del 14%, ossia che ad ogni italiano, nel 2019, sono toccate 4 bustine filtro in più, sicuramente una grande notizia! Ricordo ai miei lettori che il consumo pro capite di tè in Turchia, un Paese da poco entrato nel gruppo dei consumatori e dei produttori di tè, è di circa 2,5 chilogrammi a persona, un numero ben diverso dai 70 grammi italiani.
Secondo la FAO nel prossimo decennio avremo un incremento della produzione mondiale di tè
Naturalmente parliamo di una proiezione sul possibile incremento del terreno dedicato alla coltivazione della C. sinensis. Il 2,2% annuo dovrebbe portare nel prossimo decennio ad un aumento complessivo della produzione di oltre un milione di tonnellate di tè all’anno, ma questi dati tengono conto soprattutto dell’incremento della richiesta da parte della popolazione cinese e da parte dei paesi emergenti. Purtroppo non prendono in considerazione le crescenti variazioni del clima con le conseguenti migrazioni climatiche che porteranno ad usare il terreno disponibile per le richieste legate alle nuove emergenze alimentari.
Un altro aspetto da considerare è la voglia di natura, espressa dalle società più ricche, e gli infusi sono sicuramente tra le bevande più naturali. Tuttavia gli infusi non sempre sono a base di tè. Ricordo di aver parlato di confezioni in bustine filtro vendute come tè alla frutta che tutto contengono fuorché il tè.
Ancora una volta la “stampa” riesce ad enfatizzare alcune notizie senza darne gli strumenti di lettura, spero di aver rimesso a posto le cose.