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Lo zafferano nelle antiche ricette della cucina internazionale

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spezie per ricette antiche

Finalmente, a sentire gli amici, ho deciso di pubblicare le antiche ricette che hanno tra i loro ingredienti lo zafferano: cercherò di pubblicarle rispettando un ordine cronologico, confesso che il mio è solo un tentativo e anche estremamente aleatorio.

Stabilire una cronologia tra ricette antiche e distribuite tra diverse nazioni è un compito che personalmente non sono in grado di svolgere, occorrerebbero serie competenze di paleografia che non ho, e ricerche che mi porterebbero a dover consultare libri scritti in lingue che non conosco. Per questo dovrò fidarmi di quanto è stato scritto da altri, con una premessa: l’impiego di molte spezie nell’antichità spesso mascherava odori e sapori sgradevoli, dovuti ai problemi di conservazione delle pietanze. Solo alla fine del Settecento, con il miglioramento delle regole sanitarie e lo sviluppo delle tecniche di conservazione, le droghe verranno ridotte e usate per accompagnare ed esaltare gli aromi e i sapori. Le diverse nazioni, in secoli diversi hanno espresso ricette spesso condizionate da implicazioni religiose, dobbiamo ricordare l’aspetto prasseologico delle tre principali religioni monoteistiche, che si sono assunte il compito di curare, oltre allo spirito, anche il corpo dei propri fedeli, prescrivendo proibizioni salutistiche e digiuni.

Antiche ricette con l’utilizzo dello zafferano: il Fesenjan dell’Iran

Si pensa che una delle più antiche ricette con lo zafferano sia quella dello stufato di noci e melagrana, con pollo o anatra (il Fesenjan): la ragione di questa supposizione è giustificata da quanto scoperto nelle tavolette di terracotta trovate dagli archeologi nelle vicinanze di Persepoli, tavolette risalenti a circa il 500 a.C. Le tavolette venivano usate come appunti di transazioni commerciali o descrizioni di inventari. In questi documenti storici gli archeologi hanno potuto leggere dell’acquisto di gruppi di ingredienti uguali a quelli che ancora oggi vengono usati per il Fesenjan specialmente nei pranzi nuziali.

Stufato di noci e melagrana, Fesenjan

Noci, pasta di melagrana e cipolle vengono messe a bollire a fuoco basso in un tegame, si formerà una salsa densa a cui aggiungerete un pizzico di zafferano, della cannella in stecche e un poco di zucchero, quanto basta per togliere un poco di acidità. Il tutto verrà amalgamato con spezzatino di pollo o di anatra, cotto a parte con ulteriore cipolla.

Riso con aneto e favette, Baghali Polo

In Iran il riso ha un ruolo importante, sia come “accompagna pietanze” che come portata principale: nel primo caso di solito lo si trova cotto con burro e zafferano, ha una crosta croccante, è cotto e presentato come uno sformato ed è chiamato tadig. Nel secondo caso è presente ed è cucinato assieme al piatto principale. A seconda del ruolo che ha in tavola prende nomi diversi: chelo o polo, polo è il nome che si aggiunge al piatto nel caso di pietanza principale. Anche il Baghali polo è sempre accompagnato da carne di agnello o di manzo, naturalmente cotta con cipolla e aglio. Per preparare il piatto occorrono (oltre al riso Basmati) fave giovani, aneto fresco, molto burro, zafferano (quanto basta a dare un bel colore e un aroma), frutta secca tritata, verdura, fagioli, noci. La carne viene aggiunta al piatto finito; altre volte la carne, cotta con l’osso (simile al nostro ossobuco) e sempre cotta con tanta cipolla è messa sotto lo sformato di riso e verdure.

Ci sono molte ricette sulla modalità di cottura, ma amici iraniani mi hanno raccomandato di lavare il riso molte volte con acqua fredda, per togliere la maggior quantità possibile di amido, e lasciarlo a bagno per almeno un’ora in acqua e sale. Un ultimo consiglio, molto insolito, è quello di aggiungere una spolverata di zafferano in polvere, poco prima di servire.

Antiche ricette spagnole con lo zafferano

Se avessi avuto spazio avrei dovuto citare le ricette arabe e poi le ricette siciliane e sarde, quelle introdotte dai fenici e dagli arabi e mediate con la cucina italiana e spagnola. In Spagna nel 711 gli Arabi conquistarono i territori dei Visigoti e rimasero sul territorio spagnolo per oltre sette secoli, furono Isabella e Federico nel 1492 che riconquistarono il territorio ricacciando oltre lo stretto di Gibilterra gli ultimi dominatori arabi. In tutti questi secoli gli Islamici lasciarono la loro impronta nell’architettura, ma anche nella cucina e nella cultura. Le due ricette spagnole che vi segnalo sono ricette tradizionali, ma relativamente moderne:

Sopa Carmelitana, zuppa di carne di toro e pollo

Tra le ricette più antiche e tradizionali della cucina spagnola, questa è una delle tante zuppe che venivano offerte nei monasteri nella provincia d’Aragona. La sua data di nascita è incerta, ma dovrebbe essere intorno al 1400. È una pietanza non riservata al “popolo”, infatti i monaci tra Avila e Salamanca, almeno durante la Santa Inquisizione spagnola, erano ben inseriti nella classe dirigente. La carne di toro veniva dagli allevamenti allo stato brado, gli animali potevano essere macellati, in caso di necessità e a scopo alimentare, dai monaci che però dovevano scuoiarli e lasciare la pelle ai proprietari. Questa regola, fino al secolo scorso, era in uso anche in Argentina, sempre negli allevamenti allo stato brado di bovini.

Gli ingredienti sono: muscolo di toro, gallina, jamón serrano, pancetta, uova sode, avena perlata, carota, porro, cipolla, sedano, aglio, cerfoglio, sale, pepe nero, chiodi di garofano, zafferano.

Tutti gli ingredienti tranne le uova sode, l’avena, il cerfoglio e lo zafferano, vanno tagliati a pezzi (la carne anche steccata con i chiodi di garofano e il pepe nero) poi il tutto va bollito per almeno tre ore a fuoco moderato. Solo dopo va aggiunta l’avena e lo zafferano sciolto in acqua tiepida. Dopo aver cotto anche l’avena, la carne e il prosciutto vanno ridotti in pezzi più piccoli e solo ora, a cottura terminata, verranno inserite le uova sode tagliate a pezzetti o a fettine e il cerfoglio tritato fine, che andrà spolverato sulla zuppa, direttamente nel piatto di portata.  

Antiche ricette spagnole con lo zafferano: la Paella valenciana

A differenza del precedente è un piatto unico che nasce nelle famiglie come piatto della domenica. Inizialmente serviva a riciclare e amalgamare tra loro gli ingredienti rimasti dai pasti della settimana. Come piatto famigliare esistono decine di varianti, a seconda dello stato sociale, delle tradizioni del luogo, o della reperibilità minore o maggiore degli ingredienti. Nonostante le molte ricette della Paella valenciana, alcune regole e raccomandazioni sono comuni a tutte le varianti. Intanto occorre la “paella”, una padella in ferro o acciaio con un bordo un poco più alto del normale, senza il manico e con due maniglie. Ne esistono di varie dimensioni che dipendono dal numero delle porzioni che si è deciso di cucinarvi: si va dai 20 centimetri della monoporzione agli oltre 21 metri di diametro della paella con cui è stato realizzato il record registrato nel Guinness dei primati. La regola che unisce tutte le varianti è che, dopo aver versato il brodo e lo zafferano, durante la cottura il riso non va mai girato, ma solo scosso usando le maniglie. La ricetta classica prevede carne di coniglio, pollo e verdure (fagiolini, pomodori, peperoni ecc.), il riso, brodo vegetale, zafferano, peperoncini. Si inizia preparando il brodo che servirà per cuocere il riso e stemperare lo zafferano; preparato il brodo e messo da parte, nella paella si deve rosolare in olio la carne fatta a pezzi, senza girarla frequentemente (si deve ottenere intorno alla carne una crosticina di cottura). Cotta la carne la si sposta al bordo della paella e si inseriscono le verdure che vanno cotte quanto basta per farle restare croccanti, a questo punto si spostano anche le verdure lasciando al centro della paella uno spazio a croce in cui si versa il riso, che verrà lasciato tostare per un paio di minuti mentre lo si gira e amalgama agli altri ingredienti. Si versa il brodo, anche quello in cui si è messo a stemperare lo zafferano, e non si tocca più il riso. Il tutto dovrà essere cotto per mezz’ora a fuoco basso, scuotendo di tanto in tanto la paella. Terminata la cottura spegnete la fiamma e coprite con un coperchio o un foglio di alluminio e lasciate riposare per un quarto d’ora. Scoperchiate e mescolate bene, raschiando anche la parte attaccata al fondo della paella e infine portate direttamente in tavola la paella.

Buillabaisse: un’antica ricetta della cucina francese

La più antica delle ricette francesi ancora in uso dovrebbe essere la “buillabaisse” marsigliese e sembra che derivi dal piatto che mangiavano i fondatori greci della città di Marsiglia intorno al 600 a.C.: era una specie di zuppa realizzata dai pescatori con tutti i pesci che non riuscivano a vendere. Una zuppa di pesce che è diventata il piatto simbolo della cucina Provenzale, il nome stesso ha origini antiche e vuol dire che è (una zuppa) bollita lentamente. La buillabaisse tradizionale prevede l’impiego di almeno dieci specie tra pesci e crostacei, alcuni di scoglio, altri di fondo: scorfano, murena, cernia, rana pescatrice, spigola, ma anche triglia, merlano e ombrina. Anche i crostacei, in particolare i grossi granchi, sono ben accetti; la versione ligure prevede l’uso dell’aragosta. La base è un tritato di cipolle, spicchi d’aglio schiacciati, pomodori passati e odori (prezzemolo, alloro, finocchiella, buccia d’arancia, santoreggia), in cui metterete a marinare i crostacei e i pesci a polpa soda, aromatizzati con pepe bianco e lo zafferano diluito in brodo di pesce; versateci sopra l’olio e lasciate riposare per un paio d’ore. Quando il tutto sarà marinato, coprite con acqua molto calda e fate bollire a fuoco alto per cinque minuti, aggiungete i pesci a polpa morbida e fate bollire per altri cinque minuti a fuoco alto, aromatizzate e terminate con due altri minuti di cottura a fuoco alto. Togliete il pesce dalla pentola facendo attenzione a non romperlo e sistematelo su un piatto da portata. Il brodo nella pentola verrà filtrato e messo in una zuppiera, tutto quanto verrà portato in tavola, dove il brodo verrà servito con prezzemolo tritato fine e fette di pane tostate strofinate con l’aglio e cosparse con salsa “rouille” (salsa piccante all’aglio caratteristica della Provenza). 

Come avrete capito, il mio intento non era certo quello di insegnarvi a cucinare ma solo quello di farvi assaporare con la vostra fantasia questi piatti; se pensate che siano di vostro gusto potrebbero essere l’occasione per sperimentare qualche ristorante etnico o del Paese che vi interessa.

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Dopo aver chiuso alcune delle mie vite precedenti, quella sindacale (da Presidente FIARC Confesercenti a Roma), quella politica (membro effettivo Commissione Centrale Ruoli presso il Ministero del Lavoro), quella da redattore e autore nel mondo della carta stampata (Acquari & Natura, L’acquario ideale, Le mie prime venti Aloe, Piante Grasse), quella da tecnologo nell’elettronica industriale, quella da segretario nazionale dell’Associazione Italiana Amatori delle piante Succulente (AIAS), quella da libraio (Einaudi) a San Lorenzo a Roma, quella di formatore e consulente (master PNL), finalmente da alcuni anni posso dedicarmi alle mie passioni: lo studio e il restauro di orologi antichi (con lavori citati anche in Wikipedia), l’allevamento e lo studio di tartarughe terrestri, la coltivazione di qualche centinaio di piante, la partecipazione alle attività di associazioni naturaliste scientifiche (ERPISA, bibliotecario SRSN), l’alfabetizzazione del WEB con la lotta alle bufale e alle “credenze” prive di ogni fondamento che imperversano in rete, oltre allo studio e alla diffusione della cultura ambientale. luciano@einaudiroma.it

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