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Somalia, le tematiche ambientali e il fallimento dello Stato

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Nel 1988, durante il regime militare di Siad Barre, ebbe inizio la guerra civile somala. Quando nel 1991 cadde il regime, il paese rimase senza governo nelle mani di signori della guerra affiliati ai vari clan somali in lotta per il potere.

Dal 1991 ad oggi ci sono stati più di 15 tentativi di ripristinare un governo e riportare la pace nel paese, nessuno dei quali è andato a buon fine, (Minority Rights Group) ma ad oggi la Somalia non ha un reale governo centrale stabile e, nonostante da qualche hanno ci sia un fragile governo di transizione, il paese è in realtà nelle mani di varie fazioni -politiche e regionali – e di locali signori della guerra.

La Somalia è stata ritenuta nel 2011 il paese più pericoloso del mondo e la prolungata guerra civile definita una delle più brutali del continente africano. La mancanza di un governo centrale ha creato condizioni favorevoli affinché il paese venisse sfruttato da paesi stranieri e personaggi locali mossi da interessi privati, che hanno portato avanti attività e business illeciti.

La naturale conseguenza di tale situazione è stato un danno di notevoli proporzioni all’ambiente e alle risorse naturali somale. Da molto prima che Siad Barre fosse destituito, la Somalia era uno dei paesi meno sviluppati al mondo, la cui popolazione viveva principalmente di pastorizia e, in maniera molto limitata, di pesca ed agricoltura. A tutt’oggi, per sopravvivere, la maggior parte della popolazione dipende strettamente dallo stato delle risorse ambientali.

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foto Meeta Ahlawat

In un documento della Corte di Giustizia Internazionale si legge: “L’ambiente in cui viviamo non è un’astrazione, rappresenta bensì il luogo in cui viviamo, la qualità della vita e la salute stessa degli esseri umani”.

Nel diritto internazionale umanitario sono presenti delle norme che dovrebbero garantire la salvaguardia della natura in casi di conflitto; vi si afferma, infatti: “Durante la guerra particolare attenzione deve essere prestata alla protezione della natura al fine di evitare danni estesi, gravi e di lungo termine. Tale protezione comprende il divieto di metodi o mezzi di guerra che sono destinati a provocare un danno per l’ambiente naturale”.

Come tristemente ci dimostra il caso della guerra civile in Somalia queste norme internazionali vengono ripetutamente ignorate e puntualmente infrante a discapito dell’ ambiente e di un futuro sviluppo sostenibile dei paesi.

Deforestazione in Somalia, l’oro nero e la tragedia dei beni comuni

La mancanza di aree protette, sommata all’inefficiente legislazione in campo ambientale e alla mancanza di un forte apparato governativo ha lasciato spazio ad una politica “free for all” in termini di risorse naturali, che ha dato mano libera a chiunque volesse sfruttare quest’ultime per meri fini personali.

Questo fenomeno di usurpazione delle risorse naturali viene comunemente chiamato “la tragedia dei beni comuni”. Nonostante la Somalia conti 14 aree protette (pari solo al 0.8% del territorio somalo) e dagli anni ‘70 esistano 11 riserve naturali, dall’ inizio degli anni ‘90 a nessuna di queste aree è stata garantita la benché minima protezione. (IUCN Eastern Africa Regional Office)

La cause maggiori del degrado ambientale somalo sono la deforestazione e l’esportazioni di carbone (l’oro nero) in Medio Oriente. Il carbone – procurato all’ 80% da alberi di Acacia- è la principale risorsa energetica della Somalia, ma è la domanda straniera che definisce la portata altamente insostenibile del commercio dell’ “oro nero” (United Nations Environment Programme). La deforestazione, e la conseguente erosione e desertificazione del terreno somalo, è un fenomeno tragicamente dilagante, soprattutto nella zona più “produttiva” posta al sud tra i due principali fiumi, il Giuba e il Uebi Scebeli. La degradazione ambientale ha portato negli anni alla scomparsa di migliaia di specie, di animali e piante, e alla perdita di pascoli fondamentali per la popolazione somala, dedita principalmente alla pastorizia. (World Health Organization)

Nonostante negli ultimi anni, grazie ai mass media, sia cresciuta la consapevolezza dell’impatto devastante che la deforestazione porta al paese, il fenomeno non ha avuto un netto arresto ed il commercio altamente redditizio (in breve termine) di carbone continua a preoccupare gli ambientalisti. Tuttavia il prezzo più alto che i somali dovranno pagare sarà a lungo termine.

La deforestazione, con conseguente desertificazione del territorio, implicano impatti altamente negativi sulla disponibilità d’acqua e la capacità del suolo di trattenerla, sul clima locale, sull’ habitat di varie specie animali e sulla biodiversità. Il degrado ambientale, inoltre, limiterà fortemente la ripresa nazionale e lo sviluppo sostenibile del paese.

Ecosistemi marini e pesca massiva, una situazione tragica

La Somalia possiede uno degli ecosistemi marini più vasti e significativi del continente africano ma per troppo tempo si è permesso lo sfruttamento delle risorse naturali pregiudicando la sopravvivenza della flora e della fauna selvatica somala. Le acque somale sono state sfruttate da paesi ed imprese straniere per una pesca illegale, non dichiarata e non regolata (dall’ inglese Illegal, unreported and unregulated fishing IUU) che ha avuto come principali target tonni, pescispada, squali ed aragoste.

Nonostante sia difficile ottenere dati precisi a causa dell’instabile situazione politica, secondo un’analisi pubblicata dalla FAO, numerose specie di squali sono completamente sparite da alcune zone delle coste somale, mentre in altre le loro dimensioni si sono notevolmente ridotte.

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Un’ altra specie altamente a rischio è quella delle aragoste, specie di cui si crede aver perso l’80% di esemplari. Questo tipo di pesca massiva ha avuto un forte impatto non solo sulla fauna ma anche sulla flora marina. I metodi usati per la pesca massiva, come le trappole metalliche per la pesca delle aragoste che, una volta utilizzate dopo circa 20 giorni, vengono buttate in mare, o le pesanti reti a strascico usate per altri tipi di pesca hanno come risultato la distruzione per sradicamento di mangrovie, di letti di alghe e di parti significative della barriera corallina, sistematicamente rinvenute a riva. Inoltre, secondo pescatori del luogo, un altro fenomeno diffuso è la rimozione di parti della barriera corallina ad opera di pescatori stranieri al fine di trasferirle nelle loro coste. Queste azioni illegali rischiano di distruggere le barriere coralline e di rovinare per sempre la flora e la fauna marina somala. A peggiorare la situazione si aggiunge il fatto che la tratta tra il Mar Rosso e il golfo di Aden è una delle più percorse al mondo da navi petrolifere, sia di petrolio rifinito che greggio. Le coste somale sono costantemente minacciate da fuoriuscite di petrolio dalle navi, come viene testimoniato dalla popolazione locale che spesso riferisce di scoperte di residui di petrolio e di catrame sulle spiagge.

La Somalia e i Pirati

Mentre la comunità internazionale non da particolare importanza alle condizioni più che precarie in cui versa l’ecosistema marino somalo, un altro fenomeno ha catturato l’attenzione internazionale: i pirati. I pirati somali costituiscono, infatti, una grave minaccia per la sicurezza dei trasporti marini internazionali.

Tra le ragioni che hanno portato allo sviluppo della pirateria somala si può individuare l’assenza di un apparato governativo volto alla difesa delle coste, con conseguenti soprusi quali la pesca massiva e lo smaltimento illegale di rifiuti (di cui si parlerà più avanti). Tra i pirati, infatti, si ritrovano pescatori stanchi di vedere i loro mari depredati ed inquinati e che per questa ragione hanno deciso di prendere la difesa delle loro coste. Ad esempio, secondo l’allora direttore della Commissione dei Tonni dell’Oceano Indiano, la pesca massiva dei tonni è radicalmente diminuita da quando i pirati operano nelle coste somale per la paura dei pescherecci stranieri di essere attaccati. Non è chiaro fino a che punto la pirateria somala abbia tratto alimento dallo sfruttamento straniero e quanto è stato osservato non vuole in alcun modo essere un’ attenuante alle deplorevoli azioni da loro perpetuate, bensì solo un tentativo di porre l’accento sulla tragica ironia dei fatti. Citando quanto ha affermato un diplomatico somalo: “è vero che i pirati cominciarono a difendere il business della pesca” ma in seguito “la loro bramosia ha avuto la meglio”.

 

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Rifiuti pericolosamente tossici. La Somalia: discarica dei paesi sviluppati

A partire dagli anni ’80 la Somalia è diventata una delle discariche più ambite al mondo per lo smaltimento di rifiuti altamente pericolosi per la salute umana e per l’ambiente. È importante definire le principali proprietà che rendono rifiuti (o scorie) pericolosi come l’esplosività, l’infiammabilità, la nocività, la tossicità, la cancerogenicità e la corrosività, ma anche la presenza di sostanze che sprigionano gas tossici una volta a contatto con l’acqua.

Tra questi rifiuti definiti pericolosi troviamo: rifiuti sanitari, oli e sostanze oleose, batterie, rifiuti contaminati con bifenili policlorurati (PCB) e scorie d’amianto. La produzione mondiale di rifiuti pericolosi si stima raggiunga annualmente 350 milioni di tonnellate; il 90 % di questi viene prodotto dai paesi industrializzati, di cui i maggiori produttori sono gli Stati Uniti e l’ Europa.

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Nonostante nei paesi industrializzati la produzione di questi rifiuti cresca ad una velocità smodata, non si può dire che altrettanto velocemente siano create strutture di smaltimento. La mancanza di discariche specifiche per rifiuti pericolosi – si pensi che solo in Europa ben sei paesi ne siano sprovvisti – ed i costi elevatissimi nei paesi di produzione hanno dato vita ad un vero e proprio traffico illegale di rifiuti ad opera di organizzazioni criminali senza scrupoli cui è stato attribuito il nome di Eco-Mafia. Eco-Mafia si occupa dell’ esportazione, trasporto e smaltimento illegale di rifiuti pericolosi in paesi del “Terzo Mondo”, con introiti stimabili tra i 18 e i 26 miliardi di Euro l’anno e con una riduzione notevole dei costi di smaltimento per i produttori dei paesi, cosiddetti, sviluppati. Molto spesso l’instabilità politica e l’alto livello di corruzione (o la guerra civile come in Somalia) nei paesi riceventi facilitano il traffico.

La causa principale alla base di questo business illecito è la condizione di estrema povertà in cui versano i paesi che accettano tonnellate di rifiuti altamente pericolosi, in una dinamica che si può sintetizzare con l’espressione inglese do-or-die (fare o morire). Ciò non toglie che entrambe le controparti, esportatori e destinatari di rifiuti pericolosi, se di paesi firmatari, violano trattati internazionali.

Quali sono le leggi in materia di rifiuti pericolosi?

La Convenzione di Basilea e la Convenzione di Bamako, entrate in vigore rispettivamente nel 1992 e 1998, sono i due principali trattati in materia di rifiuti pericolosi, per il controllo e l’esportazione di quest’ ultimi.

La Convenzione di Basilea è stata adottata da 172 paesi, mentre la Convenzione di Bamako, nata dall’insoddisfazione di paesi africani, venne ratificata da 12 paesi dell’Organizzazione di Unità Africana. Essa, nonostante sia basata sugli stessi principi della prima, è ulteriormente restrittiva poiché vieta, ad esempio, l’importazione di scorie radioattive nei paesi africani firmatari.

Purtroppo però in molti paesi l’implementazione di leggi di stampo ambientale non è una priorità politica ed il fatto che questi trattati internazionali non prevedano un apparato coercitivo (lex imperfecta) in grado di perseguire penalmente coloro che non li rispettano ne mette in risalto l’esasperante debolezza di cui è testimone l’estremo degrado ambientale di cui soffrono paesi come la Somalia.

Il traffico illegale di rifiuti in Somalia, il colonialismo tossico

Per dare un’ idea della differenza di prezzo basti pensare che per smaltire una tonnellata di rifiuti tossici in Somalia, come in altri paesi del “Terzo mondo”, la cifra si aggira intorno ai 5-8 $, mentre nei paesi industrializzati si arriva a pagare fino a 3000 $.

Il traffico di rifiuti tossici in Somalia iniziò negli anni ’80 sotto Siad Barre, per poi intensificarsi negli anni ’90 con il fallimento del governo e il conflitto civile. Negli anni ‘90 iniziarono le prime inchieste che denunciarono lo smaltimento di rifiuti al largo delle coste somale nell’Oceano Indiano.

La grandezza del fenomeno portò a parlare di “colonialismo tossico”. Da fonti somale coinvolte nel traffico si venne a sapere che tra i materiali scaricati erano presenti uranio radioattivo, piombo, cadmio, mercurio, ed altri rifiuti sanitari, industriali e chimici. Sulle coste somale non era raro vedere le onde portare a riva grandi quantità di rifiuti; a tale proposito, degni di nota sono episodi avvenuti tra il 1992 e il 1996 con interi barili contenenti scorie nucleari arrivati a riva.

L’allora direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), il Dott. Tolba, confermò il fenomeno che vedeva imprese europee sfruttare la situazione di caos politico che dilaniava la Somalia per smaltire illegalmente rifiuti pericolosi altamente tossici. L’attenzione sul traffico illegale di rifiuti si è riaccesa nel 2004 quando uno Tsunami si è abbattuto sulle coste della Somalia riportando a galla barili smaltiti illegalmente nei decenni anteriori.

Alcune agenzie come l’UNEP, Greenpeace ed altre ONG internazionali che si occupano d’ambiente, hanno denunciato l’accaduto. Non c’è dubbio che siano stati scaricati illegalmente rifiuti pericolosi ma, a causa dell’instabilità politica, è difficile stabilire la portata del fenomeno ed i danni arrecati, fatto che spesso è stato usato come scusa da paesi stranieri per evitare d’intervenire.

Nel 2005 diversi media internazionali hanno denunciato la presenza di rifiuti tossici e radioattivi (smaltiti nel corso degli anni ‘90) portati a riva dallo Tsunami. L’allora portavoce dell’UNEP, Nick Nuttal, disse alla stampa che le onde dello Tsunami avevano aperto container, disseminando nell’acqua rifiuti tossici, da rifiuti sanitari a prodotti di scarto chimici, che hanno contaminato le risorse idriche e l’aria, non solo nel luogo dell’accaduto, ma fino a 10 km nell’entroterra.

Nel 2006 una ONG somala, la Daryeel Bulsho Guud, ha rinvenuto 15 container sigillati portati sulle coste dallo Tsunami. Più recentemente, nel 2008, l’inviato delle Nazioni Unite in Somalia, Ahmedou Ould-Abdallah, ha sottolineato come lo smaltimento illegale di rifiuti tossici, inclusi rifiuti nucleari, ad opera di società europee ed asiatiche non sia cessato e come l’UE abbia risposto alle accuse con un preoccupante silenzio. Nel 2009, lo stesso ha confermato la sua convinzione sulla presenza di rifiuti pericolosi, asserendo che “c’è un disastro sulle coste somale, un disastro per il popolo somalo e per l’ambiente”.
Si può risalire alla provenienza di questi rifiuti, prodotti da fabbriche ed ospedali europei che li passano all’ Eco-mafia in Italia al fine di smaltirli a prezzi nettamente inferiori.

Il coinvolgimento dell’Italia

Il traffico illegale di rifiuti pericolosi è sempre più diffuso in Italia dove l’Eco-mafia è più che mai attiva. L’Italia è da anni il luogo principale di transito per il traffico di rifiuti pericolosi che dai paesi industrializzati sono destinati ai paesi più poveri dell’ Africa e dell’ Asia.

All’ inizio degli anni ’90 fu messa sotto accusa la Progresso S.r.l., società fittizia coinvolta in Eco-mafia per lo smaltimento di rifiuti pericolosi in Somalia. Ci furono conferme sul traffico illegale dallo stesso direttore dell’azienda, Marcello Giannoni; in effetti, rifiuti pericolosi furono smaltiti in Somalia ed utilizzati per la costruzione della strada Garoe-Bosasso ed interi container – fino a 4000 secondo lavoratori somali presenti sul luogo – furono interrati durante la costruzione del porto Eel Ma’aan.

L’Italia è stata inoltre accusata di contrabbando, avendo fornito armi durante la guerra civile somala in cambio di luoghi dove smaltire illegalmente rifiuti. Attraverso intercettazioni ottenute da Greenpeace si è a conoscenza di quale fosse il trend italiano degli anni ’90 riguardante il tema somalo: società private senza scrupoli, politici corrotti di alto rango e il crimine organizzato “si disinteressano del paese e della gente che muore. I rifiuti tossici prodotti dall’ industrie italiane ed europee vengono messi sulle navi […] Sono rifiuti tossici ed uranio. Distruggono tutto”. (Greenpeace)

Un report del Parlamento italiano del 2000 attesta che l’Eco-mafia arriva a gestire 35 milioni di tonnellate di rifiuti per 6.6 milioni di dollari l’anno, controllando il 30% delle compagnie che si occupano dello smaltimento dei rifiuti, inclusi rifiuti tossici. Lo stesso studio parlamentare ha confermato il legame tra il traffico di rifiuti ed il contrabbando d’armi.

Gli Effetti devastanti sull’Ambiente e sulla Salute

I rifiuti pericolosi contaminano nel lungo termine la terra, l’ acqua (incluse le falde acquifere) e l’aria, causando una riduzione delle risorse naturali che non si potranno rinnovare, destabilizzando l’ecosistema.

Lo smaltimento illegale di rifiuti ha messo in pericolo la popolazione, la fauna e la flora somale, compromettendo in maniera irreversibile la salute umana, l’ambiente naturale, la sicurezza alimentare e le prospettive di sviluppo a lungo termine, negando alla popolazione somala il godimento di quei diritti umani fondamentali: diritto alla vita, alla sicurezza alimentare e ad un ambiente sano.

Secondo uno studio algerino, negli ultimi anni c’è stato un netto incremento di decessi di bestiame legato ai rifiuti tossici e la contaminazione delle risorse ittiche avrà inevitabilmente effetti devastanti sulla salute umana.

Nonostante le difficoltà nel monitorare la salute della popolazione, dovuta al fatto che per più di vent’anni la maggior parte degli istituti ospedalieri e sanitari in Somalia hanno cessato di operare, medici, mass media ed ONG locali ed internazionali hanno riferito di una situazione sanitaria tragica: incremento di tumori (in particolare alla tiroide, alla lingua ed al colon), deformazioni dell’apparato urinario, ma anche aborti spontanei, nascite di bambini malformati, microcefali e macrocefali. Inoltre si è parlato della diffusione di malattie inusuali quali infezioni respiratorie acute, emorragie del cavo orale e addominali ed anomale reazioni chimiche della pelle.

Sono state anche denunciate malattie sconosciute come quella che ha portato alla morte di 120 persone nella città di Bardale. Gli abitanti della costa – soprattutto nei dintorni di Mogadiscio – sono quelli più colpiti da malattie collegate all’esposizione di radiazioni, come le 300 persone morte dopo che lo Tsunami ha riportato a riva barili pieni di rifiuti tossici.

Le condizioni di salute del popolo somalo, tragicamente minacciate da tale situazione, rendono il traffico illegale di rifiuti ancor più una realtà da affrontare, tenendo a mente che il prezzo più alto dovrà essere pagato dalle generazioni future.

Per concludere

La guerra civile, il fallimento dello stato e l’insicurezza, in cui tutt’ora vive la Somalia, hanno fatto si che ci si concentrasse su strategie di sopravvivenza nel breve termine e si ignorassero importanti problematiche ambientali.

L’inoperatività del governo in materia ambientale e la mancanza di consapevolezza da parte dell’opinione pubblica dell’importanza dell’ambiente naturale hanno gettato le basi dell’odierna realtà di degrado ambientale nel paese.

La comunità internazionale dovrebbe sostenere le nascenti strutture governative somale nel combattere lo sfruttamento illegale delle risorse naturali in cui vanno inclusi la folle esportazione di carbone, la pesca massiva e lo smaltimento di rifiuti pericolosi.

Nonostante l’importanza strategica della Somalia non ci si aspetta, però, un intervento dell’Occidente, se non nel caso di gravi attacchi terroristici ad opera di Al-Shabaab o simili.

Per preservare il patrimonio naturale del paese c’è bisogno innanzitutto di una maggiore consapevolezza dell’opinione pubblica delle problematiche ambientali e che le istituzioni governative inizino a vedere la sostenibilità ambientale come una priorità imprescindibile per il benessere economico, sociale e culturale del paese. Più di un ventennio di guerra civile associata alla mancanza di un governo centrale stabile hanno causato danni irreparabili all’ambiente, permettendo ad una potente minoranza, a livello locale ed internazionale , di sfruttare ed usurpare le risorse naturali somale a discapito dei più.

Il caso della Somalia ci dimostra come guerre e conflitti armati, ma anche il disinteresse dei governi per la protezione dell’ambiente, infliggano perdite significative di risorse naturali, causando danni che spesso destabilizzeranno per sempre gli ecosistemi naturali.

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