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I segni doganali di confine tra Stato Vaticano e Regno delle due Sicilie

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Intorno alla metà del 1800 i doganieri delle dogane pontificie e del Regno delle due Sicilie collaborarono per garantire la correttezza delle frontiere tra i due Stati. Lo fecero realizzando e seppellendo un sigillo che ricordava e garantiva gli accordi presi. Se vi piacciono le curiosità e le storie strane, in queste righe  potrete trovarne.segno doganale

Tra lo Stato Vaticano e il Regno delle due Sicilie un segno doganale

Alcuni degli episodi della nostra storia hanno aspetti controversi che a volte spiegano le origini di comportamenti, più da scaltri che da saggi, che altri popoli ci attribuiscono. Questo ha permesso all’osservatore meno superficiale di scoprire in controluce le reali ragioni e a volte le origini antropologiche di questi comportamenti. Nel Lazio e in Abruzzo è possibile ascoltare strane discussioni, spesso nei dialetti locali, tra “papalini” e “regnicoli”: sembrerebbe un gioco organizzato dalle “Pro loco” per attirare i turisti, visto che l’unità d’Italia ha superato il secolo e mezzo, ma non è così. Tutto ha inizio da quando in alcuni paesi di queste regioni le associazioni nate per valorizzare la storia locale hanno risistemato nel loro luogo d’origine i cippi di confine tra lo Stato Pontificio e il Regno Borbonico: colonnini spesso divelti o trascinati a valle da frane e smottamenti. Si tratta di pilastrini cilindrici posti su una base quadrata realizzati in pietra locale, che vennero messi a dimora tra il 1846 e il 1847 per indicare il confine certo tra i due Stati: da un lato erano incise le chiavi di San Pietro e la data di collocazione, dall’altra il giglio del Regno Borbonico con il numero progressivo del cippo. La loro storia è complessa, basti ricordare che l’accordo che definì i confini si concluse il 26 settembre del 1840 tra il Papa Gregorio XVI e il Re Federico II, ma la discussione tra questi Stati era iniziata più di un secolo prima.  L’estrema complessità della trattativa era dovuta ai molti litigi tra le popolazioni frontaliere, per questioni di campanile, per  questioni di polizia, per i costi doganali su alcune produzioni che mal sopportavano le gabelle imposte in nome del Regno o del Papa (che, anche per questioni morali, per prodotti analoghi non chiedevano gli stessi importi doganali ).medaglia segno doganale

Un confine stabilito dai cippi

Nel 1840 a Roma venne tracciata, su mappe accuratissime, ancora oggi visibili nei musei vaticani, una linea di demarcazione che teneva conto del profilo dei monti e del corso dei fiumi, ma i monti e i fiumi non bastavano e così vennero realizzati e messi in loco 686 cippi bifronte ad indicare, in mancanza di evidenze naturali, il confine stabilito. Le delusioni e le sorprese per gli abitanti delle zone attraversate dal nuovo tracciato furono molte e si riaprirono le discussioni, così il trattato rimase per alcuni anni solo sulla carta. Ricordo che il Papa Gregorio XVI, morto a metà del 1846, era famoso per il suo impegno nel consolidare il potere temporale della Chiesa e quindi anche a ben definire i confini dello “Stato Pontificio”. L’inerzia e le lungaggini nell’applicazione dell’accordo questa volta non furono attribuibili alle burocrazie, che sicuramente fecero la loro parte, ma che vennero superate dalle incertezze e dai dubbi fatti nascere, assieme alle speranze di libertà e giustizia sociale, per merito dei moti rivoluzionari (tra il 1848 e il 1849). Poi ci fu il nuovo Papa Pio IX, illiberale come il suo predecessore, che fu costretto a fuggire da Roma nottetempo (il 24 novembre 1848) mascherato da semplice prete. Pio IX, auto-esiliatosi a Gaeta, andò ospite gradito dal re Federico II che, da politico lungimirante, fu ben lieto di aiutare il “collega” capo di uno Stato confinante contro i moti popolari che confluirono nella Repubblica Romana.  Pio IX, che è ricordato come uno dei pontefici che hanno avuto il più lungo periodo di pontificato (quasi 32 anni), tornato a Roma volle riaprire la discussione col risultato di cambiare la sovranità per numerose località prossime alla frontiera. L’accordo venne definitivamente ratificato solo nel 1852. Non tutto fu facile da accettare per le popolazioni dei luoghi attraversati dai nuovi confini, così i solerti funzionari delle dogane pontificie, in accordo con i loro colleghi del Regno delle due Sicilie, conoscendo le situazioni locali, decisero di rafforzare la sicurezza dei cippi. Lo fecero in due modi: dando la massima notorietà alla loro messa a dimora con la pubblicazione nelle sedi dei comuni interessati, ma contemporaneamente nascondendo sotto i colonnini delle cassette di legno contenenti medaglioni in ghisa (foto 3-4) che ricordavano il trattato. I metodi delle guardie doganali dello Stato Pontificio e dei contrabbandieri sono ben documentati nel Museo di Criminologia a Roma, in Via Giulia.  Gli anni trascorsi tra la messa a dimora dei cippi e l’Unità d’Italia furono pochi, ma a detta degli storici e dei ricercatori bastarono a far spostare centinaia di cippi, l’obiettivo era sempre quello di risparmiare sui dazi. Grazie alle cassette con il sigillo le guardie di frontiera furono in grado di ripristinare i veri confini, almeno fino all’Unità d’Italia. Nel periodo di transizione i frontalieri riconfusero tutto e questa fu la vera causa della perdita di  diversi medaglioni.segno doganale medaglia

Sappiamo che in tutto erano state sotterrate solo 686 cassette, mentre i collezionisti di cimeli borbonici e papalini sono tantissimi, con il risultato di portare alle stelle le quotazioni del medaglione, oggi introvabile e raramente visibile anche nei musei; naturalmente questo non ne autorizza la ricerca e neppure giustifica la detenzione del sigillo. Come si può vedere dalle foto il medaglione di 11 cm (o meglio il sigillo perché non commemora nulla) porta in rilievo su un lato gli stemmi dei due Stati e sull’altro lato la scritta in caratteri latini maiuscoli:

“Uno dei segni collocati per indicare la linea di confine tra lo Stato Pontificio ed il Regno delle due Sicilie stabilita con col contratto conchiuso l’anno 1840”  

Mi sono permesso di raccontare questa storia perché, a mio parere, è attraverso queste microstorie che si spiegano e si giustificano i comportamenti di un popolo, a partire dalle contrapposizioni regionali, spesso incomprensibili se non si tiene conto delle divisioni in piccoli Stati, spesso addirittura in comuni o frazioni.

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Dopo aver chiuso alcune delle mie vite precedenti, quella sindacale (da Presidente FIARC Confesercenti a Roma), quella politica (membro effettivo Commissione Centrale Ruoli presso il Ministero del Lavoro), quella da redattore e autore nel mondo della carta stampata (Acquari & Natura, L’acquario ideale, Le mie prime venti Aloe, Piante Grasse), quella da tecnologo nell’elettronica industriale, quella da segretario nazionale dell’Associazione Italiana Amatori delle piante Succulente (AIAS), quella da libraio (Einaudi) a San Lorenzo a Roma, quella di formatore e consulente (master PNL), finalmente da alcuni anni posso dedicarmi alle mie passioni: lo studio e il restauro di orologi antichi (con lavori citati anche in Wikipedia), l’allevamento e lo studio di tartarughe terrestri, la coltivazione di qualche centinaio di piante, la partecipazione alle attività di associazioni naturaliste scientifiche (ERPISA, bibliotecario SRSN), l’alfabetizzazione del WEB con la lotta alle bufale e alle “credenze” prive di ogni fondamento che imperversano in rete, oltre allo studio e alla diffusione della cultura ambientale. luciano@einaudiroma.it

1 commento

  1. La mancanza di rispetto verso le “nazioni” esistenti prima di quella truffa che si chiama “colonialismo interno italiano” la si ritrova sempre da “studiosi” che hanno prosperato con gli Stati occupanti e che tutto sono tranne che esempi per la storia ed i popoli. Sotto questo aspetto gli “italiani” fanno parte di un micro-paese di cui troppi altrove ridono quando non si parla di arte e paesaggi…

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