Non fu mai realmente imperatore, Massenzio. Fu acclamato dalle truppe in Africa, era amato dalla plebe, ma la sua nomina non ebbe la ratifica del senato. Tecnicamente, era un usurpatore. Nella realtà fu un regnante innamorato di un’idea di Roma fatta di grandezza anche visiva e iconografica e aperta a tanti culti e a tutti gli dei.
Massenzio e gli anni turbolenti di Roma
Massenzio sale al potere in un periodo delicatissimo ed estremamente complesso per Roma, quello della tetrarchia. L’impero allora era diviso tra due “augusti”, quindi due imperatori in carica: Diocleziano in Oriente e Massimiano in Occidente. Ognuno di loro nomina un “cesare”, ossia una sorta di vice destinato a succedergli: in questo caso abbiamo come cesari Costanzo Cloro in Occidente e Galerio in Oriente. Dopo l’abdicazione di Massimiano, è Costanzo Cloro a prenderne il posto come stabilito nell’accordo tetrarchico. Però Costanzo non nomina come suo “cesare” né il figlio del suo predecessore, ossia Massenzio, e nemmeno il proprio figlio, Costantino I, ma sceglie Massimino. Ad aggravare la situazione, Costanzo Cloro muore dopo solo un anno di regno e l’occidente si ritrova in breve tempo con troppi aspiranti augusti: Massenzio, Costantino e Massimino. Massenzio viene riconosciuto come imperatore dalle sue truppe e domina sull’Italia e sull’Africa, divenendo l’ultimo imperatore a risiedere stabilmente a Roma, impegnato nella missione di riportarla ai fasti dell’impero maturo.
Un imperatore di altri tempi
Costruisce delle terme e una basilica di dimensioni monumentali, edifici ora completamente spogliati del marmo che li ricopriva e che fu utilizzato per costruire chiese e palazzi durante il medioevo. Aveva una villa sull’Appia, dove fece erigere un mausoleo dedicato al figlio Valerio Romolo, precocemente scomparso. Lì costruì anche un circo arrivato a noi in discrete condizioni e nelle monete di suo conio risplendeva un’immagine di Roma ancora intatta e fiera, con richiami alle divinità tradizionali e ai miti di fondazione. A differenza di quel che scrissero gli antichi storiografi, favorevoli a Costantino, Massenzio rese liberi tutti i culti, compreso quello cristiano. Ma la damnatio memoriae operata dal suo avversario ha tramandato un’immagine tradizionale di Massenzio piuttosto deviata: perverso, crudele, schiavo della divinazione e dei riti magici. Ricostruire una verità storica il più oggettiva possibile non è semplice, perché non conosciamo con certezza nemmeno il volto di Massenzio. Lo ipotizziamo in base alla somiglianza del suo ritratto sulle monete ad alcune statue pervenuteci, visto che la damnatio memoriae comportava la distruzione di ogni raffigurazione del soggetto.
La battaglia di ponte Milvio
Costantino, che intanto era stato acclamato dalle truppe del nord, decise di scalzare l’altro usurpatore nel momento in cui vide il proprio potere crescere. Quando la guerra giunse alle porte di Roma, Massenzio affrontò Costantino a viso aperto nella celebre battaglia di Ponte Milvio. Era il 28 ottobre del 312 d.C. e Costantino era accampato approssimativamente dove sorge ora l’arco di Malborghetto. Costantino attese le mosse di Massenzio che, attraverso un ponte di barche, iniziò a far radunare il suo esercito sulla sponda del Tevere dove era il suo nemico. Era forte di truppe ben più numerose di quelle di Costantino. Ma questo vantaggio, paradossalmente, si trasforma in handicap: le operazioni di spostamento sono lente e Costantino ne approfitta, attaccando con la sua cavalleria un esercito non dispiegato, annullando così il vantaggio della superiorità. La scelta è sicuramente è rischiosa ma si rivela vincente, perché infine la cavalleria di Costantino sfonda quella di Massenzio, il cui esercito inizia a scivolare nelle acque del Tevere. Anche Massenzio affoga; il suo corpo venne ritrovato e immediatamente decapitato, la sua testa fu condotta in parata per le strade dell’Urbe.
Massenzio cadendo portò con sé un mondo
La damnatio memoriae cadde sull’imperatore che credeva in Roma e l’obiettività delle notizie sulla figura di Massenzio è compromessa dalla narrazione filocristiana subito successiva. Massenzio, per i contemporanei, rappresentava un mondo corrotto e senz’anima e gli venivano attribuite nefandezze a lui estranee; mentre Costantino, che si diceva avesse vinto grazie al suggerimento divino di mettere una croce sugli scudi, era il primo imperatore del nuovo mondo al quale loro appartenevano. Ma ci resta una traccia, tenera ed eroica, della fede degli uomini nell’uomo che avevano scelto come “augusto”: le insegne di Massenzio, messe al sicuro dai suoi fedeli per evitare che finissero nelle mani di Costantino, furono nascoste in una fossa scavata in un vano sotterraneo e sono state ritrovate solo nel 2005 alle pendici del Palatino. La seta che le avvolgeva e il legno che le sosteneva hanno perso la sfida dei secoli, ma sono giunti a noi tre tre scettri in ferro e oricalco, adorni con sfere di vetro e calcedonio. Oggi si trovano esposte al Museo Nazionale di Palazzo Massimo. Un ultimo, tardivo trionfo per Massenzio.
La foto di copertina è tratta dal sito Ancientrome
Lo schema della battaglia di Ponte Milvio è tratto dal sito Warfare
Le foto delle insegne di Massenzio sono tratte dal sito Archaeolgy&ME