«… “Voi di qui non passerete. Ditelo ai vostri capi che gli indigeni non vi hanno fatto passare! tornate in città, correte! Dite loro che la foresta si è ribellata! Dite loro che la Malesia si è ribellata, finalmente! Evviva! La Malesia si è liberata oggi! Evviva! Evviva!”.
La vecchia Tijah si unisce alla proteste, urla con tutte le sue forze le ragioni degli indigeni. Le urla in pieno viso a un agente di polizia che si è avvicinato con aria minacciosa alla giovane Norieen, la sua ragazza protetta. Anche gli uomini Temiar, sparpagliati nella zona circostante, si fanno avanti compatti, a proteggere Tijah»
Temiar della Malesia contro la deforestazione
È la resistenza ambientale degli aborigeni della Malesia contro la deforestazione dei territori ancestrali da parte delle multinazionali che producono gomma e olio di palma il fulcro del romanzo etnografico dell’antropologa Silvia Grossi, da poche settimane in libreria.
“L’ultimo respiro del sole” (Laurana, collana Rimmel), è ambientato nel Sultanato del Kelantan, nella Malesia nord orientale, durante la grande alluvione del 2015 che devastò il Paese e non risparmiò nessuno, sommergendo i territori abitati dagli indigeni così come le metropoli sedi dei maggiori marchi tecnologici operanti sul mercato mondiale.
Il libro è quindi anche una riflessione sul cambiamento climatico e sull’urgenza di regolamentare l’intervento antropico sui territori più fragili del nostro Pianeta.
Il romanzo nasce, infatti, dall’esperienza di campo dell’autrice, che ha vissuto in prima persona la grande alluvione come volontaria dei soccorsi e che ha all’attivo un’assidua frequentazione del Sud-est asiatico, avendo lavorando dapprima come giornalista freelance (dal 2004) e, successivamente, come etnografa in seguito al compimento degli studi di antropologia.
“Mi sono ispirata alla vicenda reale della grande alluvione, occorsa anche a causa dell’abbattimento della barriera naturale delle mangrovie per far posto ed impiantare le palme da olio- racconta l’autrice- ed ho costruito personaggi verosimili, immaginati sulla base del reale vissuto che ho potuto osservare in questi anni laggiù”. Negli ultimi anni, infatti, la sua attenzione si è concentrata, in particolare, sul modo in cui le comunità aborigene malesi hanno fatto – e stanno tutt’oggi compiendo – resistenza attiva per la salvaguardia sia dell’ecosistema naturale sul quale vivono da generazioni sia dei loro diritti umanitari, spesso confinati e depauperati al pari delle risorse ambientali, fino a diventare vittime di diseguaglianze create a vantaggio del potere economico dominante.
“Oggi come più che mai, anche in virtù di quanto sta accadendo nel nostro Paese (sempre più colpito da fenomeni metereologici anomali e da conseguenti dissesti idrogeologici) e nel mondo, si fa forte e viva la necessità di sensibilizzare i lettori attraverso la formula della narrazione sui rischi causati dall’intervento dell’uomo sulla natura,- spiega Silvia Grossi, autrice del libro- Pericoli derivanti dall’eccessiva urbanizzazione e industrializzazione, che riduce spazi naturali e territori agricoli nelle aree più fragili e povere del Pianeta e che ghettizza e segrega in spazi ristretti e senza rispettare i diritti umanitari intere comunità indigene, sfollate dai loro territori ancestrali”.
È quello che avviene in Malesia dove l’abbattimento delle foreste ha causato numerosi problemi: in primis la distruzione della barriera naturale capace di attutire la furia delle piene monsoniche, sempre più invasive a causa dei cambiamenti climatici e, a cascata, la conseguente perdita di ettari di piantagioni e la tracimazione dei fiumi, causando ingenti danni all’economia e agli equilibri della società locale. A ciò si aggiunge, nel libro, una riflessione continua su cosa possa significare un disastro di tale portata in un Paese dove i servizi sanitari, di soccorso e di ricostruzione sono appannaggio delle grandi metropoli dominate dai poteri forti, dove oggi convivono tra loro diversi gruppi etnici, spesso trasferiti a forza (descritti molto dettagliatamente anche nel romanzo): «Quando un disastro così impattante colpisce comunità tanto differenti per etnìa, religione, contesto culturale e ambientale i danni prodotti non sono esclusivamente materiali, ma a compromettersi sono tutti i processi che tengono in equilibrio la struttura delle comunità stesse, nonché la loro stessa sopravvivenza e il loro futuro immaginato».
L’esempio dei Temiar, raccontato in una trama avvincente e incalzante capace di descrivere in maniera vivida e vivace i tanti mondi malesi (dai coltivatori di riso, ai pescatori di fiume, agli indigeni della foresta fino ai cittadini delle grandi città futuristiche) diventa la prova che “sul nostro Pianeta insistano tante piccole o grandi Amazzonie di cui poco si conosce, ma la cui esperienza non può che essere utile a condurre con maggiore consapevolezza quella battaglia per l’ambiente che oggi è prioritaria per la nostra salvezza”, sottolinea l’autrice.
LA TRAMA – In un alternarsi tra la narrazione in prima persona e pagine di diario tra il 2005 e il 2015, “L’ultimo respiro del sole” (Laurana) fa luce sulla vicenda degli aborigeni Temiar, guidati dall’anziana e saggia Tijah e dai loro giovani leader. Ad appoggiare la ribellione indigena sarà Fadi, mediatore capace di dare filo da torcere agli interessi di Mr Saaed, comandante di polizia corrotto e deciso a seguire le proprie ambizioni di potere fino alle estreme conseguenze. Ad accompagnare la battaglia del protagonista, che diviene riflessione stessa sul futuro del Paese, saranno lo sguardo indagatore di un medico malese e di un’antropologa occidentale. Con un ritmo narrativo a tratti incalzante, a tratti dominato dall’atmosfera placida della più pura tradizione letteraria orientale, la storia si dipana anche attraverso l’incontro con i coltivatori di riso, i pescatori di fiume e i cittadini che abitano la Malesia contemporanea.