Per conoscere l’aspetto tecnico dell’attività di chi restaura gli arazzi, ho già scritto che occorre spiegare cosa sono gli arazzi, comprenderne il ruolo, ma anche l’importanza storica e artistica. Per questo vi prego di sopportare la lezione diffusa sull’arte dell’arazzo che vi presento grazie alle mie interlocutrici. L’ho distribuita e diluita in forma di curiosità. Sopportatemi ricordando che anch’io sto scoprendo, come voi, un mondo che non conoscevo se non dal punto di vista estetico.
Le più importanti fabbriche di arazzi
Non voglio fare una storia dell’arazzeria, che è antica e neppure limitata a un solo continente. In Europa, alla fine del Medioevo, sono nate manifatture importanti, legate a corti regali e a ricchi imprenditori capaci e illuminati: a seconda del periodo alcune prevalevano sulle altre, anche in forza delle ricche committenze. Due di queste fabbriche sono attive anche oggi e sono centri ancora in grado di attrarre un turismo culturale da tutte le parti del mondo. In Belgio gli arazzi delle Manifatture Reali De Wit sono esposti nella foresteria dell’abbazia di Tongerlo, a Mechelen, dove i turisti si prenotano per visitare l’antica manifattura, vedere i telai in funzione ma anche le sale che ospitano le sezioni dedicate alla conservazione e al restauro degli arazzi.
La tradizione nelle Fiandre è antica, dai documenti notarili e da quelli delle “gilde” professionali gli storici hanno confermato che, a metà del millecinquecento, un terzo degli abitanti di Bruxelles erano impiegati a vario titolo nella produzione degli arazzi. In Francia la manifattura dei Gobelins (ex tintori specializzati nel colore rosso derivato dalla cocciniglia) intorno a metà del milleseicento (per volere della Corona) inizia a produrre arazzi per i nobili e la famiglia reale. Ancora oggi la manifattura dei Gobelins è attiva, grazie agli interventi governativi. Ho saputo, dalle nostre esperte, che negli arazzi le bordure sono molto importanti per l’individuazione dell’origine e della cronologia degli arazzi stessi: determinante è il colore della bordura, ma anche il materiale usato. Nelle Fiandre, dopo il 1528, le gilde concordarono le regole di produzione che, se rispettate, davano diritto ad aggiungere le marche cittadine a garanzia della qualità. Le grandi manifatture “firmavano” le loro tele, spesso tessendo in quella che si chiama cimosa (ovvero la cornicetta più esterna, monocroma che inquadra gli arazzi) la sigla dell’imprenditore/produttore, le firme (o marche) dei tessitori e il “bollo” della città sede della tessitura. Ricorderete che gli arazzi erano considerati “affreschi mobili” e che i panni derivavano da grandi cartoni, prodotti a volte da famosi pittori, con una differenza che soltanto secoli dopo verrà affrontata e studiata: quella della riproducibilità tecnica. In realtà a quei tempi la “riproducibilità” era abbastanza relativa, i cartoni si danneggiavano dopo il primo impiego, spesso ne venivano fatte delle copie, e a volte i nuovi cartoni provenivano da copie ottenute dall’osservazione degli arazzi già prodotti, e potevano non essere più molto fedeli ai modelli originali. Comunque ogni arazzo era a suo modo un “originale”, solitamente parte di una serie (più o meno lunga) che si dimensionava in base alla richiesta degli acquirenti. Uno degli elementi che condizionava – e condiziona ancora la committenza – è la moda, ossia il gusto del periodo; questo introduce un’altra delle storie che ho ascoltato. Cercavo notizie sul mercato degli arazzi, sui prezzi delle serie più famose e più riprodotte nei secoli: ho scoperto che dopo il 1519, quando vennero prodotti a Bruxelles, da Pieter van Aelst, gli arazzi commissionati da Leone X sui cartoni di Raffaello Sanzio, questa produzione proprio per la bellezza e l’originalità dei cartoni influenzò il gusto, stabilendo un nuovo stile, che poi diventò “classico”, e che ebbe ricadute fino ai pittori secenteschi. Il primo risultato, intorno al 1520, fu che il cambiamento del gusto estetico influì anche sui prezzi degli arazzi prodotti fino a quel momento con uno stile non aggiornato, che dovettero essere svenduti: non piacevano più.
La situazione italiana
Ho parlato della produzione fiamminga degli arazzi e di quella francese, ma anche in Italia, per due secoli, a partire dalla metà del millecinquecento, è stata attiva l’Arazzeria Medicea, nata su impulso di Cosimo I de’ Medici, che si avvalse all’inizio delle competenze tecniche di due maestri arazzieri fiamminghi, ma soprattutto del gran numero di pittori che ruotavano intorno alla corte medicea (Salviati, Pontormo, Bronzino e tanti altri artisti fiorentini). Proprio dai loro cartoni nacquero le migliaia di arazzi della manifattura. A metà del millesettecento alla chiusura dell’ Arazzeria Medicea i tessitori si trasferirono in gran parte a Napoli, alla corte di Calo III e poi Ferdinando IV di Borbone. Nella collezione degli arazzi del Quirinale sono presenti alcuni di quei manufatti, in particolare la serie con le “Storie di Don Chisciotte” che, con i suoi 102 esemplari è forse il gruppo più esteso per numero di panni mai realizzato nella storia dell’arazzeria.
Il patrimonio artistico nazionale
In Italia il patrimonio artistico costituito dagli arazzi è enorme, da una parte è il nucleo della nostra identità nazionale, dall’altra è la nostra reale ricchezza, a patto che la si conservi e soprattutto che si impari a valorizzarla. La collezione di arazzi del Quirinale è una parte importante del nostro patrimonio artistico nazionale. Alcuni la indicano come la collezione più importante in Europa conservata in un palazzo, ma non è così. Ho potuto verificare che, almeno dal punto di vista numerico, la prima collezione in Italia è quella Fiorentina, parliamo di oltre 900 pezzi. La collezione del Quirinale, sicuramente importante, è però la seconda in Italia. L’aspetto positivo è che, grazie al Laboratorio restauro degli arazzi del Quirinale e al Laboratorio del Restauro degli Arazzi dell’Opificio delle Pietre Dure con sede a Palazzo Vecchio a Firenze, c’è una concreta speranza che questo settore del Patrimonio Artistico Nazionale sia tutelato.
Proprio la collaborazione tra il Laboratorio del restauro degli arazzi del Quirinale con i migliori elementi laureati nelle più prestigiose università italiane permetterà a questi ultimi di integrare il loro sapere con la tecnica, l’esperienza sul campo e la preparazione pratica che acquisiranno affiancando le esperte del Laboratorio, questo amplierebbe anche il valore delle capacità formative della nostra Scuola. Ma non c’è solo la formazione, tutti concordano sul fatto che gli esemplari su cui queste persone dovranno lavorare sono “eccellenze artistiche” di valore inestimabile, meglio riusciremo a conservarle e meglio sarà per tutti. In Italia abbiamo migliaia di pezzi importantissimi che abbiamo la responsabilità di mantenere nel miglior stato possibile, farlo al massimo delle nostre capacità ci permetterà di salvaguardare anche a livello europeo quel prestigio che abbiamo meritatamente raggiunto.
I veri valori
Quello che voglio che tutti comprendano è che gli oggetti possono essere sostituiti: un laboratorio può essere chiuso e rimesso in piedi, costerà qualche centinaio di migliaia di euro, ma tornerà come prima; ma le professionalità (specialmente se eccezionali) no! Queste competenze, acquisite in anni di lavoro su capolavori artistici, vanno trasmesse promuovendo l’aspetto formativo. Come dicevo fortunatamente le nuove sensibilità stanno evidenziando che la nostra materia prima, quella che possiamo esportare, è l’ingegno italico, quello che tutti ci riconoscono in Europa e nel mondo, sono questi i veri valori, che permettono e garantiranno l’efficienza del Laboratorio restauro degli arazzi del Quirinale.
È vero che Georges Clemenceau ci ricorda che “I cimiteri sono pieni di persone insostituibili”, frase erroneamente attribuita a Charles de Gaulle, ma non è necessario seppellire nei cimiteri, assieme alle persone, le loro capacità, le loro scoperte, le loro competenze, non vi pare?
In Italia ancora attiva c’è l’Arazzeria Scassa ad Asti in Piemonte
Gentilissima
come avrà letto non ho citato le arazzerie che ancora operano in Italia, ce ne sono alcune con molti anni di attività. Ho invece citato alcune collezioni e le scuole più importanti. Per fortuna, grazie anche all’opera di arazziere come Maria Taboga e le altre signore che lavorano e sostengono il laboratorio di restauro degli arazzi del Quirinale la tradizione artigianale italiana continuerà.
Personalmente ho scoperto proprio grazie a loro e alle ricerche del professor Nello Forti Grazzini (morto il 29 ottobre del 2021 a soli 67anni) un settore con una storia e una tradizione importantissima in Europa e nel mondo. L’immensa biblioteca del professor Grazzini è stata trasferita Roma, ed ora è visitabile su appuntamento. l’Accademia del Belgio e il Ministero della Cultura hanno organizzato iniziative in sua memoria.
Le confesso però che, come “parente” di personaggi storicamente importanti ho problemi con chi si autodefinisce (vedi il sito dell’Arazzeria Scassa) erede di uno dei più importanti tessitori del mondo. Ma questa considerazione è dettata dalla mia incapacità di considerarmi importante per le mie “parentele”.