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Il centro di manutenzione e il restauro degli arazzi del Quirinale

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restauro degli arazzi del Quirinale

Incontro con la “arazziera” Maria Taboga

Come avevo anticipato, inizio a presentarvi le eccellenze professionali che ho scoperto frequentando i laboratori e le mostre del Quirinale. Una premessa però va fatta: le persone di cui dovrei parlarvi sono tantissime, perciò non prendete queste mie presentazioni come una classifica e scoprirete anche voi, come è successo a me, altri motivi per andare orgogliosi del Palazzo degli Italiani. Tra i super esperti di cui vi parlerò ho incontrato per prima la dottoressa Maria Taboga, coordinatrice del “Laboratorio per il restauro degli arazzi” del Quirinale. Ho messo arazziera tra virgolette perché Maria Taboga è più una restauratrice di arazzi che una arazziera in senso stretto.

L’ho conosciuta per merito di un comune amico che mi aveva incuriosito, poiché ne aveva vantato alcune qualità che di solito non si trovano associate in una sola persona: una manualità eccezionale che la pone ai livelli dei “maestri” arazzieri del XVII secolo, una conoscenza enciclopedica degna di una storica dell’arte, l’esperienza di una moderna restauratrice, maturata in anni di attività su oggetti di altissimo livello.

Mi accompagnava un’amica, specializzata in Cervantes, che per oltre trenta anni aveva insegnato letteratura spagnola in vari atenei e da poco era andata in pensione. Maria Taboga riuscì a stupirla con la propria conoscenza delle serie di arazzi commissionati dalle varie corti sulle scene tratte dal Don Chisciotte.

Rimanemmo incantati ad ascoltarla per oltre mezz’ora. Ma questo è solo l’inizio: per definire il termine “arazziera” – o meglio esperta di conservazione e restauro di arazzi – occorre precisare cos’è un arazzo.

Cosa sono gli arazzi

Non tutte le tele appese al muro sono arazzi, può sembrarvi banale ma non lo è, basta andare a leggere sui siti di commercio elettronico per verificare che, come “arazzi”, vengono proposti dei lenzuoli stampati, utilizzati come finti trompe-l’oeil, mentre in altri siti vengono spacciate per arazzi antiche tele indiane dipinte. Potreste anche comprare, con 900 euro, un “Arazzo antico da parete dipinto su tela a succo d’erba” della dimensione di 2 x 1,5 metri. Peccato che già nel XVI secolo le associazioni tra i produttori di arazzi avessero proibito di “dipingere” gli arazzi stessi. Poi ci sono i ricami, il mezzo punto, e diverse altre produzioni tessili artigianali. Un discorso a parte voglio farlo per i drappi in tessuto gobelin, così chiamati perché imitavano gli arazzi della manifattura francese dei Gobelins grazie all’impiego dei telai Jacquard, complessi telai meccanici guidati da cartoni perforati: questi telai, prodotti a partire dall’inizio del 1800, erano dei veri computer. Per quasi un secolo questi tessuti (simili ad arazzi), prodotti in centinaia di copie, erano comunemente presenti nelle case degli italiani.

Una definizione

Ci sono molte definizioni per il termine “arazzo”, quella che mi piace di più è quella che considera l’arazzo come una antica forma di arte tessile, il cui tessuto, realizzato a mano, è la somma tra una grandissima capacità artigianale, una rappresentazione artistica, e l’uso di materiali eccezionali (spesso preziosi). Il termine “arazzo” invece deriva dal nome della città francese di Arras dove nel Medioevo venivano prodotti gli arazzi più belli.

Naturalmente di queste cose non sapevo molto, conoscevo la differenza tra ordito e trama, anche se da tecnico credevo che fosse l’ordito con i sui fili grossi e robusti a sostenere tutto l’arazzo. Proprio Maria Taboga mi ha fatto notare che la trama è composta da un numero molte volte maggiore rispetto ai fili dell’ordito e quindi è la trama a sostenere tutto l’intreccio. Sempre Maria Taboga mi ha spiegato che gli arazzi erano “gli affreschi mobili”: dei grandi complementi d’arredo, che potevano seguire il “Principe” nei suoi spostamenti stagionali. Avevano anche il pregio di essere sostituibili e quindi il loro possessore avrebbe potuto mostrare la propria opulenza e raffinatezza, facendo realizzare ambienti adeguati alle differenti occasioni. Agli inizi del secolo scorso erano molte le famiglie che usavano come arazzi i tessuti gobelin, io stesso ne ho ereditato uno dai miei genitori, e così mi sono permesso di chiedere all’arazziera un consiglio su come mantenere (ed eventualmente decidere se far restaurare) gli arazzi della nonna. Sorridendo, l’arazziera mi ha spiegato che quelli che avevamo in casa probabilmente non erano arazzi e che quindi ogni caso avrebbe dovuto essere valutato singolarmente. Quasi sicuramente nelle dimore borghesi si possono trovare prodotti industriali, in alcuni casi tessuti gobelin, in altri casi tele dipinte, difficilmente veri arazzi. Così ho scoperto che alla base di un buon arazzo deve esserci un buon “cartone”, che è la traccia seguita dai tessitori (in quegli anni erano gli uomini che facevano questo lavoro, oggi considerato femminile), con fili preparati proprio per quella produzione, con tutte le sfumature di colore necessarie. Famosi sono i cartoni prodotti da Raffaello, su incarico di Leone X, per la Cappella Sistina (la serie degli Atti degli Apostoli), che vennero tessuti a partire dal 1515. Per la realizzazione dei relativi dieci arazzi a Bruxelles, nella famosa bottega di Pieter van Aelst, furono necessari circa quattro anni di lavoro. Oggi la serie viene esposta in Vaticano, a rotazione, in stanze con luci soffuse e temperatura ed umidità controllate.  

Tantissimo lavoro manuale qualificato per il restauro degli arazzi

Naturalmente la nostra ospite ha elencato decine di serie prodotte dal Medioevo a oggi, parlandoci anche dell’origine dell’arte arazziera nel mondo e delle sue eccellenze; io ne ho approfittato per cercare di farmi un’idea della quantità di lavoro necessaria per produrre un arazzo della grandezza di tre metri per quattro. Per quello che ho capito, nella “fabbrica” diversi tessitori lavoravano affiancati sul lato corrispondente all’altezza dell’arazzo, che era montato su un telaio che poteva essere sia ad alto liccio (verticale) che a basso liccio (orizzontale), tramite il quale è possibile realizzare arazzi di dimensioni anche notevoli. Già qui nascevano problemi di organizzazione: per ottenere una buona omogeneità occorreva che i tessitori avessero tutti la stessa esperienza e manualità; poi c’erano i turni di lavoro, – e non erano i sindacati che li stabilivano – ma per avere un buon prodotto occorreva l’attenzione degli operatori che non potevano mantenere la stessa qualità per più di un certo numero di ore. Non bastavano i tessitori; per realizzare l’arazzo servivano anche altre maestranze e sempre “specializzate”: una persona incaricata di dirigere la tessitura, altri deputati alla realizzazione dei cartoni, del controllo della qualità, vari con il compito della preparazione dell’ordito sul telaio e dei filati da usare, alcuni incaricati della tintura delle matasse di filo con tutte le sfumature necessarie, ecc. In pratica un gran numero di persone che lavoravano pagate da un imprenditore che investiva nella produzione una grande quantità di denaro, spesso senza sapere se e quando sarebbe rientrato del suo investimento. A volte i tessuti richiesti erano carichi di oro e argento, e ciò accresceva ulteriormente i costi dell’imprenditore che li doveva far preparare.

È naturale che con l’avvento della rivoluzione industriale non si trovassero più tante persone estremamente specializzate disposte a lavorare ore ed ore per pochi soldi. L’introduzione dei telai meccanici spostò la produzione su altri tipi di tessuto, introducendo in alcune zone la cottimizzazione della produzione; ma questa non è la sola ragione della chiusura nel tempo di quasi tutti gli opifici, con la conseguente riduzione del numero degli arazzi prodotti. Per fortuna, nei laboratori all’interno del Quirinale si mantiene in vita quest’arte.

Un mondo con un suo lessico

Ogni professione ha una serie di termini specifici, per gli attrezzi di lavoro, per le azioni necessarie a realizzare un prodotto finito, per esprimere la qualità di un prodotto, ecc. Anche “gli arazzieri” hanno il loro glossario, decine e decine di vocaboli che vivono solo grazie a loro; la nostra ospite mi ha spiegato il significato, ma anche la storia, di alcune di queste parole, mostrando non solo la sua cultura, ma anche la “passione” per un’attività che senza persone come lei rischia l’estinzione. Ho saputo che mette la stessa passione anche nella diffusione della propria conoscenza, nell’organizzazione di mostre, nella partecipazione a convegni, nella realizzazione di cataloghi.

A mio parere, occorrerebbe anche di più: la divulgazione dei “Tesori del Quirinale” non può limitarsi agli oggetti ma dovrebbe riuscire a trasmettere agli Italiani la passione dei super esperti verso gli oggetti del proprio lavoro, potrebbe essere un modo per aumentare “l’Amor Patrio”, non in senso nazionalistico, ma come orgoglio di far parte di questa nazione che, anche grazie al “Palazzo”, ha prodotto e continua a mantenere vive queste arti.

Spero di non avervi annoiato perché sono proprio l’orgoglio e la passione che vorrei trasmettervi. Magari con i prossimi articoli sugli arazzi e le “arazziere” del Quirinale.

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Dopo aver chiuso alcune delle mie vite precedenti, quella sindacale (da Presidente FIARC Confesercenti a Roma), quella politica (membro effettivo Commissione Centrale Ruoli presso il Ministero del Lavoro), quella da redattore e autore nel mondo della carta stampata (Acquari & Natura, L’acquario ideale, Le mie prime venti Aloe, Piante Grasse), quella da tecnologo nell’elettronica industriale, quella da segretario nazionale dell’Associazione Italiana Amatori delle piante Succulente (AIAS), quella da libraio (Einaudi) a San Lorenzo a Roma, quella di formatore e consulente (master PNL), finalmente da alcuni anni posso dedicarmi alle mie passioni: lo studio e il restauro di orologi antichi (con lavori citati anche in Wikipedia), l’allevamento e lo studio di tartarughe terrestri, la coltivazione di qualche centinaio di piante, la partecipazione alle attività di associazioni naturaliste scientifiche (ERPISA, bibliotecario SRSN), l’alfabetizzazione del WEB con la lotta alle bufale e alle “credenze” prive di ogni fondamento che imperversano in rete, oltre allo studio e alla diffusione della cultura ambientale. luciano@einaudiroma.it

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