Ancora oggi, tra i monumenti dell’antica Roma, possiamo vedere i resti di un tempio unico, dove si venerava una pietra nera di origine meteorica: tale era rappresentazione Cibele, divinità femminile madre del tutto.
Il Tempio della Magna Mater Cibele: una svolta nella storia di Roma
I ruderi del tempio si trovano sul Palatino, all’interno dell’area archeologica del Foro Romano, e raccontano una storia affascinante. L’epoca delle guerre puniche fu un periodo complesso per gli antichi romani: la società stava cambiando, si scoprivano altri modi di vivere e di vincere, la struttura militare era messa a dura prova dalla potenza di Cartagine e così la fiducia di Roma nei propri dei. Esattamente a quell’epoca risale la fondazione del tempio della Magna Mater Cibele, nei pressi della cosiddetta Capanna di Romolo. Un luogo significativo già nelle epoche più antiche: il padre della città e la madre del mondo, uno accanto all’altra.
L’aspetto del tempio e i suoi culti
Fino a noi sono giunte le antichissime basi del tempio e le colonne cadute, dalle dimensioni maestose. Il Tempio di Cibele bruciò e fu ricostruito due volte, dato che all’epoca gli incendi erano molto frequenti. Era austero, non aveva colonne sui lati ma solo frontali, il podio era alto e una lunga scalinata serviva a raggiungere la cella quadrata, dove si celava l’essenza viva della dea e la sua rappresentazione. Conosciamo l’aspetto del Tempio della Magna Mater grazie a un bassorilievo antico, dell’epoca dell’imperatore Claudio, oggi murato a Villa Medici. Vi si tenevano due tipi di culto, quello romano e quello frigio. Se il secondo includeva riti simbolici e sfrenati, affidati quindi a sacerdoti stranieri, il primo invece consisteva in spettacoli teatrali che si tenevano davanti al tempio: si chiamavano Ludi Megalensi e videro rappresentate anche delle opere di Plauto.
Un luogo di culto sorto in un momento delicato
Quel che affascina noi moderni non è solo l’imponenza suggerita da ciò che resta, ma l’immagine della dea, legata a un’intuizione incredibile. Racconta Tito Livio che, nella disperazione della seconda guerra punica, nel 204 a.C., vennero consultati i libri sibillini. Vi era scritto che un invasore straniero sarebbe stato cacciato, se fosse stata portata a Roma la Magna Mater Cibele, dea del ciclo di vita e morte del tutto. Una delegazione partì per l’Asia Minore e tornò portando con sé una pietra nera di forma conica, forse un meteorite, che rappresentava la dea madre.
Cibele giunse dall’est, il suo simulacro dal cielo
E qui si nasconde il fascino sconvolgente della storia, perché la scienza ci dice che le molecole organiche che hanno formato la vita possono essere arrivate sulla Terra tramite corpi celesti. Nei periodi peggiori, a volte, capitano le idee migliori. Il tempio della Magna Mater fu costruito all’interno del pomerio, l’area sacra dove si veneravano solo gli dei di Roma, perché Cibele era sì orientale, ma anche i romani, discendendo dal profugo troiano Enea, a ben vedere lo erano. Aprirono il loro cuore alla potenza di una dea assoluta, madre del tutto. Accolsero le proprie origini, riconobbero in Cartagine la propria nemesi e vinsero la guerra: l’antica Roma, splendida adolescente, era appena diventata adulta.
Foto di copertina tratta da: ancientrome.ru
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