Ho pensato di raccontare vita, storia e miracoli del fico d’India, una pianta che da una parte ha colonizzato il mondo, dall’altra è l’esempio di come, grazie alla globalizzazione, un genere sia intervenuto nella cultura, sarebbe meglio dire nelle culture, di molte parti del mondo, condizionandone la storia, l’economia e anche l’alimentazione.
Fico d’India: partiamo dal nome
Furono gli esploratori al seguito di Cristoforo Colombo a riportare dal continente americano le pale di Opuntia ficus indica: il nome di fico d’India era legato all’idea che Colombo, con la sua spedizione, avesse raggiunto un lato inesplorato del Continente indiano. La pianta era facile da riprodurre e soprattutto non aveva bisogno di particolari cure, così già nel 1500 in Sicilia se ne diffuse la coltivazione. Questo è documentato nei Discorsi di M.Pietro Andrea Matthioli (intorno al 1535) in cui il medico senese, autore del primo libro di botanica in italiano, spiega
“…Che è da questo differente l’altro Fico Indiano, che s’è portato dalle Indie Occidentali; imperoche questo non ha né nel tronco, né nei rami, né nelle foglie, né nei frutti somiglianza veruna con il sudetto. I frutti di questo chiamano gli Indiani Tune, la pianta dei quali crederei io, che non sia altro, che la Opuntia di Plinio, così chiamata per nascere intorno a Opunte (in Locride in Grecia, nota di redazione) come scrive Teofrasto con queste parole: Simile al Fico Indiano, anzi più meravigliosa è quella pianta, che nasce intorno a Opunte, e genera le radici dalle foglie, a cui è dato dalla natura, che si mangiano i suoi frutti, per esser eglino soavi; … Sono le sue foglie così grosse, che eccedono la grossezza di un pollice, per la più parte armate di lunghe, e acutissime spine, se bene in alcune in luogo di spine, vi si vede alcuni piccoli nodi. Produce questa pianta i frutti in cima delle foglie, quasi simili a i Fichi, ma più grossi, e coronali in cima, d’un colore, che nel verde porporeggia. La polpa loro è come i nostri, ma più rossa, di modo che imbratta le mani, come le More, e però mangiandosene molti (come scrivono coloro, che già furono in quel paese) fanno l’orina rossa come sangue, il che a i forestieri ha fatto alle volte grandissima paura, con non poco spasso de i paesani. …”
In realtà in un’altra parte Mattioli spiega come i “paesani” si divertissero a spaventare i “forestieri”:
Nei primi anni del 1500, ai forestieri che erano in visita alla Valle dei Templi i paesani offrivano ceste di fichi d’India che, essendo una novità sconosciuta in Europa, venivano divorati con ingordigia; dopo qualche ora gli stessi che si erano dimostrati amichevoli si riunivano in gruppetti e si lamentavano ad alta voce. I forestieri coinvolti dalla gentilezza dei locali cercavano di partecipare ai problemi di quella gente, così veniva a loro spiegato che nei paesi vicini era scoppiata una peste che si poteva contenere solo bruciando gli individui infetti. A quanto raccontavano i paesani uno dei primi sintomi che gli infetti manifestavano era l’urina rossa: pensate alle facce dei “forestieri” che tornavano dalle latrine, era questo “lo spasso” crudele dei paesani, considerate anche che nel 1500 non c’erano tante notizie sulle pandemie e le cure a volte erano più dannose della malattia e quasi mai efficaci.
Un genere con molte divisioni
Quindi il nome del genere è decisamente antico, ma le attuali Opuntiae non sono certo quelle indicate da Plinio, come non sono le foglie ma i “cladodi” quelli descritti dal Mattioli che, nonostante la sua vastissima cultura, proprio non conosceva la fotosintesi né i cactus. Come ho raccontato molte volte, i primi raggruppamenti delle specie erano realizzati dagli esperti di tassonomia sulla base delle affinità fisiche degli esemplari delle specie.
Per la loro forma questi cactus sono stati divisi in Platyopuntiae quelle con i cladodi appiattiti, con centinaia di specie. Tra le specie di questo gruppo è stato recentemente identificato un genere (Consoleae) con decine di specie, genere dedicato al botanico italiano Michelangelo Console che a metà del 1800 studiò i cactus nell’Orto botanico di Palermo. Le Cylindropuntiae invece sono il gruppo in cui i cladodi sembrano dei veri e propri rami e hanno forma cilindrica. All’interno del vecchio carcere di Civitavecchia ho avuto la possibilità di vedere un’Austrocylindropuntia subulata alta quasi cinque metri, una pianta con oltre 20 cm di diametro nel fusto principale: l’esemplare, nonostante fosse probabilmente coevo all’edificio fatto costruire da Pio IX nel 1864, qualche anno fa è stato eliminato dall’amministrazione carceraria per problemi di sicurezza. I Thephrocactus sono un gruppo di Opuntiae con cladodi sferici o ovoidali, particolarmente gradito dai produttori e dai collezionisti per la bellezza degli esemplari che hanno una crescita lenta, sono specie di cactus (circa 40) provenienti da zone montane.
Secondo uno studio messicano, pubblicato dall’Università di Querétaro in due volumi, al genere Opuntia appartengono oltre 900 specie: in questo lavoro non sono state usate le tecniche di genetica molecolare, ma comunque anche se il numero delle specie sarà ridimensionato ne rimarranno sicuramente centinaia.
La FAO e le Opuntiae
Sono almeno quattro le pubblicazioni prodotte sotto l’egida dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura. Infatti, partendo dalla tradizione messicana del consumo alimentare dei “Nopal” (giovani cladodi di Opuntia ficus indica) che in quel Paese sono consumati sia freschi in insalata che fritti impanati e in tanti altri modi; sono stati fatti studi sull’impiego delle pale di fico d’India nell’alimentazione animale e anche nell’industria chimica per la produzione di coloranti biologici impiegati dall’industria alimentare, come E120, colorante usato per il liquore Alchermes, ma anche per alcuni bitter. Anticamente gli aztechi usavano il carminio raccolto dalle cocciniglie per tingere di rosso i mantelli. Per l’alimentazione animale non vengono usate soltanto le pale più giovani, ma anche quelle più vecchie. Sempre grazie alle ricerche scientifiche si sono scoperte le interazioni sviluppate nei secoli tra le piante di fichi d’India e gli insetti. In Italia i produttori di mele hanno dovuto eliminare le siepi di Opuntiae usate come confini dei propri campi, la mosca della frutta ha imparato ad usare le pale di queste piante come rifugio sicuro, in grado di proteggere le proprie larve anche dai soliti trattamenti antiparassitari.
I miracoli del fico d’India
Se avrete la pazienza di navigare un po’ sul web potrete scoprire che i Nopal (o prodotti dichiarati a base di Nopal) sono commercializzati come integratori miracolosi, capaci di intervenire sullo stimolo della fame e soprattutto di far dimagrire chi li userà. Non sono in grado di denunciare l’inutilità di questi trattamenti, posso solo confermare che le “diete” hanno efficacia se prescritte da seri professionisti e se studiate per ogni singolo caso di sovrappeso. Come integratori alimentari di origine naturale i prodotti miracolosi non devono sottostare ai test scientifici previsti per i medicinali.
Nelle prossime pagine vi parlerò di alcune mie esperienze e delle migliori tecniche per riprodurre da talea le Opuntiae, anche le più rare.
Vi aspetto!