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Gli orologi: un patrimonio tutelato

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orologi antichi

Alcuni anni fa chiesi ai miei amici di controllare se in casa avessero degli orologi rotti, spiegando che ero interessato solo a vederli, ed eventualmente a conoscerne la storia. In questo modo ho scoperto che sono molti coloro che conservano nei cassetti o negli armadi meccanismi e orologi, anche se rotti e non funzionanti da anni. Purtroppo non sono state molte le persone che ricordavano le “storie” legate a quei loro pezzi, spesso i miei interlocutori collegavano l’oggetto al ricordo di una persona cara, altre volte confessavano di aver tenuto l’orologio perché comunque l’oggetto in sé aveva un proprio fascino, al di là del mancato funzionamento. A seconda dei casi le motivazioni erano diverse, ma tra i miei amici ho trovato anche chi mi ha confessato di essere semplicemente affascinato dai meccanismi. Non ho fatto una vera e propria ricerca statistica ma, tra le persone che ho intervistato, le signore si sono mostrate più sensibili all’aspetto estetico e in qualche modo “artistico” dei pezzi. È come se tutte quelle ruote e quegli ingranaggi facessero parte di un organismo semivivo, qualche cosa con una sua autonomia, un simulacro di automa che “al momento non funziona, ma non si sa mai!”

Nelle case degli amici ho trovato dei tesori

Grazie a questa mia curiosità ho trovato, tra i “rottami” conservati dai miei amici, un paio di movimenti in ferro di notevoli dimensioni: erano antichi movimenti di pendole databili intorno ai primi anni del 1700 (lo scappamento era realizzato con una grande ruota orizzontale). La platina e i relativi ruotismi erano contenuti in gabbie cubiche che probabilmente sostenevano la cassa. Questi movimenti erano sovrastati da suonerie a forma di campana, probabilmente in bronzo. Era tutto quello che restava di due orologi che impreziosivano i saloni di una villa patrizia in Abruzzo. Erano pezzi settecenteschi ereditati da una mia amica come tracce di un antico fasto, una volta trasportati a Roma i due movimenti non erano mai stati restaurati. Non era certo l’aspetto economico ad aver impedito il restauro. I due orologi, anche se incompleti, erano esposti in due camere da letto, appoggiati su due colonne che esaltavano la complessità del movimento. Oltre alle due pendole ho identificato diversi orologi in qualche modo storici, come dei “Dollar watch”, meccanismi super economici prodotti completamente a macchina negli USA (dalla fine del 1800 fino ai primi decenni del 1900), orologi che avevano la caratteristica di essere venduti al prezzo di 1 dollaro. Ho trovato un cronometro di tipo militare che doveva essere il prototipo di una serie incassata dalle industrie Panerai prima degli anni Trenta. La cassa monopulsante conteneva un movimento svizzero valjoux 8 e sul quadrante, oltre alla scala cronometrica, c’era anche il tachimetro e il telemetro. I movimenti svizzeri vennero a mancare a causa delle sanzioni imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni (18 novembre 1935). L’amica che mi ha regalato l’orologio in questione ricordava che suo padre usava la scala telemetrica per insegnarle a seguire l’andamento dei temporali: faceva partire il cronometro all’apparire del lampo e lo fermava quando si sentiva il tuono. Ho trovato diversi Roskopf, orologi da tasca che (secondo il loro ideatore) dovevano costare non più di una settimana di salario di un operaio non specializzato, orologi prodotti in ogni parte del mondo, su licenza, in milioni di esemplari. Addirittura ho trovato un orologio elettrico in bachelite collegato via radio con un orologio atomico in Germania, con l’indicazione (serigrafata sulla scatola) che l’errore possibile sarebbe stato di qualche milionesimo di secondo in un secolo. Ho trovato una rumorosa sveglia digitale cinese (che una coppia di amici aveva ricevuto in regalo negli anni ’50), ma lo stile era più russo che cinese! Lo straordinario rumore della sveglia era dovuto ai numeri in alluminio che si alternavano sul quadrante.  Il paio di pendole settecentesche rotte e incomplete, nelle mani di artigiani come quelli che hanno lavorato fino ad ora al Quirinale, potrebbero riprendere vita. In realtà entrambi gli orologiai che ho conosciuto sono perfettamente in grado di ricostruire la parte meccanica mancante e le casse delle antiche pendole, con una ricostruzione storico filologica.

Ho già ricordato che la loro specialità è proprio quella di lavorare su movimenti insoliti e non prodotti in serie. Grazie agli orologi nel Palazzo, gli orologiai si sono allenati a scoprire le particolarità dei meccanismi, e anche a capire, a colpo d’occhio, l’origine dei movimenti.  So per certo che la loro frequentazione di pezzi importanti li ha condizionati ad apprezzare la “rarità” e la genialità negli orologi antichi, che vorrebbero sempre recuperare al loro originale splendore. È proprio quella genialità e quella rarità che fa superare agli orologi nel Palazzo la funzione di semplici segnatempo. In effetti legalmente gli orologi del Quirinale non sono solo orologi ma beni culturali registrati e per giunta di proprietà pubblica. Considerarli solo in base alla loro funzione di segnatempo equivarrebbe a considerare “La Gioconda” di Leonardo come un mero complemento d’arredo. Ma comunque un problema c’è, su indicazione del dottor Marco Lattanzi ho letto con attenzione il Codice dei beni culturali e del paesaggio, in particolare gli Articoli 10 e 12 che definiscono cosa considerare “Bene artistico e culturale”. Il Codice dei beni culturali è il naturale riferimento all’individuazione della migliore definizione possibile di “Bene culturale”, ma ho potuto verificare quanto sia realmente difficile stabilire quale orologio sia da considerare un bene culturale, a meno di non sottoporre l’oggetto ad una verifica d’interesse come stabilito dall’art. 12. Ho scoperto che è possibile ottenere una definizione legale più specifica per vie traverse, grazie a un regolamento comunitario:

 “REGOLAMENTO (CE) N° 116/2009 DEL CONSIGLIO” datato 18 dicembre 2008; il regolamento è relativo all’esportazione dei beni culturali. Nell’allegato (1) intitolato: “Categorie di beni culturali di cui all’articolo 1” troviamo che (al punto 15) sono considerati: “Altri oggetti d’antiquariato non contemplati da A1 ad A14”. In pratica al punto A15 si definisce come “bene culturale”, di cui è regolata l’esportazione, un orologio con un’età compresa tra 50 e 100 anni, con valore uguale o superiore ai 150.000 euro. Diversa è la situazione per pezzi con oltre due secoli di storia sulle spalle. Un’ulteriore distinzione è in funzione di chi sia il possessore del “bene culturale”: un conto se è lo Stato ad avere il possesso del bene, le regole sono differenti se invece il proprietario è un privato cittadino.

In Italia i beni culturali sono tantissimi

Questo ha creato la necessità di una normativa articolata e complessa. Sicuramente i beni culturali, storici e del paesaggio sono un’importante risorsa economica per il nostro Paese e spesso costituiscono una fonte di reddito per i privati che li possiedono. Per questo, anche solo considerando le norme che regolano il possesso pubblico, voglio che teniate conto della complessità dei problemi. Riporto un breve stralcio di un commento alla normativa nazionale:

… il Codice dei beni culturali e del paesaggio ha creato un sistema a tre livelli per i beni culturali appartenenti allo Stato, alle Regioni e agli altri Enti pubblici territoriali:

Il primo livello: è costituito dai beni che non possono essere alienabili in quanto beni culturali demaniali (immobili ed aree di interesse Archeologico, raccolte di Musei, pinacoteche, gallerie, biblioteche e archivi). 

Il secondo livello: comprende alcuni dei beni culturali del demanio per i quali è prevista l’alienabilità previo rilascio di apposita autorizzazione ad alienare. Il rilascio dell’autorizzazione da parte del Ministero porta alla sdemanializzazione del bene, che sarà trattato non più come bene demaniale, ma solo come bene culturale. 

Il terzo livello: è costituito da tutti i restanti beni culturali pubblici che non appartengono alla categoria dei beni demaniali ma che possono essere alienabili solo con il rilascio di un’apposita autorizzazione. Entro trenta giorni dall’alienazione, l’alienante o il cedente la detenzione dovrà presentare la denuncia presso la Soprintendenza del luogo dove si trova il bene.

Alcuni anni fa, alla Mostra Internazionale dell’Orologeria di Zurigo, ho conosciuto un espositore che proponeva in vendita un orologio della fine del 1800, prodotto dalla maison H. Moser. La cassa (in oro massiccio) era stata realizzata da Cartier con grossi diamanti intorno al quadrante, l’aquila bicefala dei Romanov testimoniava la committenza dello Zar. Henry Moser aveva creato nel 1828, a San Pietroburgo, la sua fabbrica di orologi che aveva continuato a servire la corte dello Zar anche dopo la morte del fondatore (1874). Lo Zar era solito regalare, agli ufficiali della sua guardia, orologi in argento con il simbolo della casa imperiale, orologi in oro e da polso erano probabilmente riservati alle dame di corte, ma è possibile che l’orologio in vendita fosse un pezzo unico o al più un esemplare di una piccola serie. Il venditore, che come Henry Moser proveniva da Schaffhausen (dove la ditta Moser & Cie si era trasferita dalla data della Rivoluzione russa), era entusiasta del suo pezzo che tra le altre cose rappresentava la “precisione svizzera”. In Russia non era solo lo Zar ad apprezzare le creazioni di H. Moser: lo stesso Lenin usava un orologio da tasca con cassa in argento, prodotto dalla H. Moser, ora l’orologio di Lenin è esposto in un museo a Mosca. È curioso che l’orologio simbolo della rivoluzione russa sia una pendola napoleonica (con il movimento posto sulla groppa di un rinoceronte). Era collocata in una sala dell’Hermitage e venne fermata quando i rivoluzionari occuparono il palazzo. Il simpatico venditore offriva l’orologio in suo possesso a 750.000 euro, ma prima di salutarci il prezzo era sceso a “solo” 500.000 euro. Per me era troppo costoso, ma il venditore provò di tutto per vendere il pezzo a un appassionato come lui di Henry Moser.  Ho così scoperto che la certificazione del passaggio di proprietà non seguiva certo le raccomandazioni del regolamento (CE)116-2009 sulla esportazione dei beni culturali, d’altronde la Svizzera non fa parte della Comunità Europea. In pratica ho potuto verificare che nella precisissima Svizzera, che non è uno Stato europeo, ma che sostiene di persegue una politica europea su accordi settoriali bilaterali, le regole europee sul trasferimento dei beni culturali erano totalmente ignorate. Proprio questo, che denuncia un grosso limite culturale, in materia di beni culturali, è ancora oggi il vero problema!

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Dopo aver chiuso alcune delle mie vite precedenti, quella sindacale (da Presidente FIARC Confesercenti a Roma), quella politica (membro effettivo Commissione Centrale Ruoli presso il Ministero del Lavoro), quella da redattore e autore nel mondo della carta stampata (Acquari & Natura, L’acquario ideale, Le mie prime venti Aloe, Piante Grasse), quella da tecnologo nell’elettronica industriale, quella da segretario nazionale dell’Associazione Italiana Amatori delle piante Succulente (AIAS), quella da libraio (Einaudi) a San Lorenzo a Roma, quella di formatore e consulente (master PNL), finalmente da alcuni anni posso dedicarmi alle mie passioni: lo studio e il restauro di orologi antichi (con lavori citati anche in Wikipedia), l’allevamento e lo studio di tartarughe terrestri, la coltivazione di qualche centinaio di piante, la partecipazione alle attività di associazioni naturaliste scientifiche (ERPISA, bibliotecario SRSN), l’alfabetizzazione del WEB con la lotta alle bufale e alle “credenze” prive di ogni fondamento che imperversano in rete, oltre allo studio e alla diffusione della cultura ambientale. luciano@einaudiroma.it

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