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Gli orologi del Quirinale, capolavori da ammirare

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Orologi del Quirinale
Manifattura Francese (1815 - 1848)

Prima di parlare degli orologi del Quirinale dovrei parlarvi degli orologi in genere, ma soprattutto del ruolo degli orologi e della loro evoluzione, legata allo sviluppo stesso della società.

Orologi, un po’ di storia

Nelle società agricole, i contadini e gli abitanti dei borghi avevano la vita regolata sui cicli della natura: chi coltivava la terra non aveva certo bisogno di conoscere l’ora esatta, bastavano le campane che chiamavano alle funzioni del vespro a segnalare che la giornata era finita, come bastava il canto del gallo ad indicare che era ora di alzarsi. Sempre le campane segnalavano il mezzogiorno, e quindi l’ora del pasto. Le giornate erano divise in giorno e notte, così quando comparvero i quadranti sulle torri campanarie, diventate torri degli orologi, non erano le 24 ore che venivano mostrate, ma alternativamente le ore del giorno o quelle della notte, scandite soprattutto dalle funzioni religiose. I quadranti, in molti Paesi, riportavano solo 6 ore ed erano detti “alla romana”, e quindi anche il “palazzo romano” per eccellenza non poteva che avere sul “torrino” un quadrante alla romana. 

Per i cattolici romani le preghiere venivano scandite dagli “svegliarini monastici”, sveglie meccaniche in cui non c’erano lancette ma era il quadrante a girare e ad attivare una suoneria (o una campana). Il buon cristiano doveva ogni giorno recitare un certo numero di preghiere: si iniziava all’alba con “le lodi”, e poi alle sei (ora prima), alle nove (ora terza), alle dodici (ora sesta), alle 15 (ora nona) e infine al tramonto c’erano i vespri. In realtà gli ordini monastici avevano anche altre preghiere a cui erano chiamati tutti i fratelli. Forse non tutti sanno che una delle più famose canzoncine che tutti i bambini del mondo conoscono, quella di “Fra’ Martino campanaro”, deriva proprio dal fatto che in ogni convento un monaco aveva l’incarico di vegliare sul buon funzionamento dello svegliarino e chiamare i fratelli alla preghiera, ma un giorno il monaco (tentato dal diavolo) si addormentò e così non vennero recitate le preghiere previste all’alba. 

Fra’ Martino campanaro Dormi tu? Dormi tu? 

Suona le campane! (in alcune versioni “Suona il mattinale!”)

Suona le campane! (in alcune versioni “Suona il mattinale!”)

Din, don, dan! Din, don, dan! 

Gli orologi del Quirinale

Gli orologiai del Quirinale mi hanno raccontato che più volte sono stati chiamati per regolare l’orologio del torrino, da persone che non avevano preso in considerazione che i numeri sul quadrante non indicano le ore, ma è solo la posizione della lancetta ad indicarle, e che per segnare le 24 ore le lancette devono percorrere non due ma quattro volte la circonferenza del quadrante. Fino alla fine del XVIII secolo la nuova giornata non iniziava dalla mezzanotte ma dopo l’Ave Maria della sera (ossia poco dopo il tramonto), soltanto dopo l’invasione delle truppe napoleoniche in Italia vennero introdotte le ore “oltramontane” o alla francese e i quadranti riportarono 12 ore. L’amico Marcello Teodonio ha evidenziato che anche il poeta Giuseppe Gioacchino Belli ha parlato di questo nel 1846 nel sonetto “L’orologgio”, che fa riferimento proprio all’orologio del torrino.

   E ddajje co Ppio nono! e ggni paese
mó aricopia st’usanza scojjonata
de portà ’na bbanniera inarberata
tra ccanti e ssoni e ttra ccannele accese.
             
     E intanto er zanto padre ha la corata
d’arimette l’orloggio a la francese.
Un papa! ammalappena ar quarto mese
der papatico suo! Bbrutta fumata!
              
     Disse bbene er decan de Lammruschini
ar decan de Mattei: «Semo futtuti:
cqua ttorneno a rreggnà li ggiacubbini».
              
     Sto sor Pio come vòi ch’iddio l’ajjuti
quanno sce viè a imbrojjà ppe li su’ fini
sino l’ore, li quarti e li minuti?

Gli Orologi e il loro fascino

Avrete capito che attraverso gli orologi è possibile leggere la storia della società e delle sue esigenze, ma anche molto di più. Ai contadini a poco serviva la possibilità di misurare il tempo in secondi; il rigore calvinista, l’Illuminismo, l’industrializzazione con le sue esigenze produttive, invece avevano bisogno di misurare il tempo in modo più accurato. Tuttavia alcuni produttori, per i loro clienti “speciali”, realizzavano strumenti capaci di indicare oltre alle ore tantissime altre cose come la posizione degli astri, il mese, il numero del giorno, eccetera, tutte queste cose vengono incluse in quelle che si chiamano “complicazioni”. Le complicazioni, proprio per la loro particolarità, sono le ultime cose ad essere state standardizzate; le prime due complicazioni derivano dagli orologi pubblici delle torri dei comuni, e sono il suono che indica le ore, ma anche i quarti e le mezze ore. Poi c’è il raddoppio, ossia la ripetizione dei battiti, per permettere di contarli meglio anche ascoltandoli da lontano. Il fascino tra meccanica, arte e magia degli orologi li ha fatti subito individuare come regali preziosi, indispensabili a chi metteva in piedi una nuova famiglia, e ciò sono rimasti almeno fino alla metà del secolo scorso, ma non erano solo i borghesi a fare questo tipo di regalo. Tra gli orologi presenti nel Quirinale alcuni sono dei regali preziosi, quasi sempre pezzi unici, opera di artigiani che lavoravano per i reali di Francia, e tra le altre cose in un periodo storicamente importante per le innovazioni introdotte nell’orologeria. Mi rendo conto che per chi si interessa agli orologi solo per realizzare degli investimenti è difficile capire quello di cui sto parlando. Per cercare di far comprendere il livello delle emozioni che possono essere collegate a un orologio permettetemi di raccontare la storia di un pezzo che alcuni considerano la “Gioconda” degli orologi, un’opera d’arte coeva ad alcuni dei pezzi provenienti dalla reggia di Colorno (vicino Parma), la reggia di Maria Luigia di Parma (Maria Luisa d’Asburgo-Lorena). 

Un prezioso orologio del Quirinale

Tra gli orologi del Quirinale parliamo dell’orologio di Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, moglie di Luigi XVI, ghigliottinata con il marito nel gennaio del 1793. L’orologio che era stato commissionato ad Abraham-Luis Breguet da un ammiratore della sovrana venne terminato trentaquattro anni dopo la morte della regina e quattro anni dopo la morte di Abraham-Luis (l’orologiaio). L’orologio da tasca con i suoi 823 componenti (riuniti in circa 10 centimetri di diametro) e i suoi molti quadranti, anticipava le complicazioni che poi verranno introdotte all’inizio del 1900. Un capolavoro di micromeccanica! Se non ci credete provate a mettere anche solo 821 viti in una scatola tonda con un diametro di 10 centimetri!  Ma il movimento era anche bello e curato dal punto di vista artistico, con una storia affascinante anche successiva alla sua costruzione. Nel 1983 il pezzo originale, esposto nel Museo della Tecnica a Gerusalemme, venne rubato. Nel 2004 Mr. Nicolas G. Hayek (che era diventato il proprietario della Breguet) pensò di fare un omaggio all’orologeria svizzera in occasione dei 250 anni dalla nascita di Maria Antonietta (1755 – 2005); l’idea era di far ricostruire, partendo dai progetti originali, l’orologio della regina. L’impegno fu notevole ma il lavoro venne terminato con qualche anno di ritardo: solo nel 2008 (con quattro anni di lavoro dei più sofisticati laboratori della Maison Breguet) venne presentata la copia dell’orologio, ma già nell’anno precedente era stato ritrovato l’originale, quello che era stato rubato dal museo. Nella realizzazione della copia (costata circa 30 milioni di dollari) gli ingegneri della Breguet recuperarono tecniche antiche, i ponti furono realizzati in oro rosso e vennero lucidati con legno di bosso, i ruotismi vennero imperniati su veri zaffiri. Ogni cesello, ogni particolare venne ricostruito fedelmente, ma per la copia Hayek aggiunse una ulteriore curiosità: fece realizzare un cofanetto in quercia dove custodire l’orologio, nel museo dell’atelier Breguet. Il cofanetto venne realizzato utilizzando il legno della quercia sotto la quale Maria Antonietta amava riposare. L’albero secolare, che era morto a causa di accidenti climatici, venne “donato” ad Hayek che aveva contribuito con un milione di euro al restauro del parco in cui la quercia viveva.  Se vi ho incuriosito con questa storia pensate che ci sono almeno un centinaio di altre storie legate agli orologiai che hanno creato i capolavori che potrete ammirare al Quirinale, alcune penso di raccontarvele. Un’ultima suggestione per comprendere il valore dei beni artistici di cui stiamo parlando. Se nei secoli scorsi gli orologi erano tra gli oggetti più importanti da regalare, pensate cosa dovevano essere quelli realizzati come pezzi unici dai migliori artigiani che, tra le altre cose, erano ben coscienti che i capolavori da loro prodotti sarebbero stati regalati alle famiglie regnanti ed esposti in una reggia.  

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Dopo aver chiuso alcune delle mie vite precedenti, quella sindacale (da Presidente FIARC Confesercenti a Roma), quella politica (membro effettivo Commissione Centrale Ruoli presso il Ministero del Lavoro), quella da redattore e autore nel mondo della carta stampata (Acquari & Natura, L’acquario ideale, Le mie prime venti Aloe, Piante Grasse), quella da tecnologo nell’elettronica industriale, quella da segretario nazionale dell’Associazione Italiana Amatori delle piante Succulente (AIAS), quella da libraio (Einaudi) a San Lorenzo a Roma, quella di formatore e consulente (master PNL), finalmente da alcuni anni posso dedicarmi alle mie passioni: lo studio e il restauro di orologi antichi (con lavori citati anche in Wikipedia), l’allevamento e lo studio di tartarughe terrestri, la coltivazione di qualche centinaio di piante, la partecipazione alle attività di associazioni naturaliste scientifiche (ERPISA, bibliotecario SRSN), l’alfabetizzazione del WEB con la lotta alle bufale e alle “credenze” prive di ogni fondamento che imperversano in rete, oltre allo studio e alla diffusione della cultura ambientale. luciano@einaudiroma.it

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