Forse sarete sorpresi come lo sono stato anch’io quando ho scoperto che lo zucchero di palma, in particolare quello ottenuto dalla melassa di dattero, è sicuramente uno dei più antichi prodotti dell’ingegno umano. La sua produzione sembra che fosse già nota alle prime comunità umane che praticavano nel paleolitico la caccia e raccolta. Successivamente, con l’addomesticamento degli animali e delle piante, si passò all’allevamento e all’agricoltura, ma le tecniche di produzione non cambiarono molto, aumentarono solo il numero delle specie di palme usate e quindi il tipo di materiale grezzo da cui lo zucchero di palma veniva ricavato.
C’è palma e palma
Anni fa, girando in una provincia agricola del Bangladesh, ho scoperto una curiosità che vi voglio raccontare: ai margini della strada c’erano delle strane palme che sembravano dei totem dei nativi americani. Avevano il tronco completamente scolpito a forma di scala, sembravano dei feticci posti a proteggere una strada polverosa che da Naria, una cittadina sul fiume Padma (il Gange), portava verso l’interno, alla capitale del distretto di Shariatpur. Incuriosito mi informai sulla loro funzione, mi dissero che quelle palme erano molto vecchie e per quello avevano quella strana forma, che era solo il risultato della loro “mungitura”. Avevo scoperto le palme da zucchero. Piante dello stesso genere della palma da dattero (Phoenix dactylifera) ma di specie diversa, erano Phoenix sylvestris, che ho verificato essere comuni e diffuse in gran parte dell’India. La strana forma era dovuta alla continua e ripetuta siringatura fatta per raccogliere la linfa dalla quale poi si sarebbe ricavato lo zucchero (che in India chiamano Jaggery Gur).
Come si ottiene lo zucchero di palma
Già gli antichi abitanti di quelle regioni facevano bollire la linfa, che solidificava, e il prodotto ottenuto aveva una lunga conservazione ed era facile da trasportare, tra l’altro era uno strumento di scambio molto gradito dalle altre popolazioni. Pensate che solo dopo la scoperta dell’America arrivarono in Europa le canne da zucchero. Le tecniche per ottenere lo zucchero da altri vegetali sono ancora più recenti. Tuttavia le Repubbliche Marinare già nel Medioevo importavano dall’Asia il sale dolce, che per secoli venne chiamato sale arabo. Erano pochi in Europa a conoscere lo zucchero nel Medioevo, e ancora meno erano quelli che lo usavano: era un prodotto di lusso, di importazione, e quindi molto costoso. Per dolcificare si usavano sia il miele che le melasse derivate dall’uva o dalla frutta più dolce. Si era persa da noi la conoscenza per produrre lo zucchero e anche la “cultura” su questo prodotto.
La riscoperta dello zucchero di palma
“Paese che vai usi e prodotti che trovi” non è solo un modo di dire, in alcune nazioni la cultura, le caratteristiche climatiche e altri fattori hanno fatto nascere abitudini e hanno privilegiato l’uso di alcuni prodotti a discapito di altri. In Occidente, negli ultimi anni, il desiderio di prodotti naturali e di dolcificanti diversi dallo zucchero raffinato (di tipo industriale) ha permesso alle ricche popolazioni europee di riscoprire questi zuccheri antichi, che solo un decennio fa erano riservati alle popolazioni di nazioni spesso lontane. La stevia, caratteristica del Paraguay, ma anche lo sciroppo d’acero e di dattero, la melassa di dattero, di melograno e di linfa di palma, sono ora prodotti alla portata di tutti, commercializzati dalle grandi catene di distribuzione nel web, decantati da sostenitori che ne esaltano le caratteristiche organolettiche assieme a ipotetiche e quasi mai scientificamente documentate capacità terapeutiche. Non è possibile indicare, per lo zucchero di palma, un solo sapore; ho potuto verificare che, a seconda della zona di raccolta e di produzione, lo zucchero di palma è più o meno dolce e soprattutto ha diversi retrogusti e sentori, dovuti al tipo e alla durata della cottura e anche alla sua freschezza. Il suo gusto intenso può definirsi terroso e ricorda quello della cioccolata.
Le qualità terapeutiche
Come dicevo non ci sono studi scientifici pubblicati a sostegno di quello che affermano i miei amici bengalesi sull’utilizzo di questo zucchero come medicamento, c’è però la tradizione e l’uso a testimoniarne l’efficacia. A Naria mi hanno spiegato che le produzioni, anche se estremamente diffuse, sono di tipo familiare, di solito vengono vendute solo le eccedenze e il prezzo è comunque molto più elevato di quello dello zucchero di canna. Alcuni dati analitici comunque sono noti: l’indice glicemico di questo zucchero è basso, a seconda del tipo di palma va da 35 a 40, considerate che lo sciroppo d’acero ha indice 65, il saccarosio ha 70, il glucosio ha 100. Questo ne fa un prodotto che viene assorbito lentamente dal corpo quindi utilizzabile anche in caso di diabete. Sicuramente è un prodotto ricco di minerali come ferro, fosforo, calcio e magnesio. Meno certa è la presenza delle vitamine, le tecniche di produzione abbattono le vitamine termosensibili. Le nonne indiane lo consigliano come integratore per la crescita dei bambini, ma anche come toccasana per i disturbi respiratori. L’uso costante sembra che riesca a prevenire il diabete e a rafforzare le ossa e i denti, e c’è chi sostiene che può anche essere usato nelle diete dimagranti.
Come si utilizza
L’uso dello zucchero di palma è quello caratteristico degli zuccheri, proprio per questo il mio consiglio è quello di non eccedere, anche se è un’alternativa più sana rispetto agli altri zuccheri è pur sempre uno zucchero. Come dolcificante viene usato anche per i dolci da forno e per le preparazioni a caldo e non ha controindicazioni.
In Bangladesh lo utilizzano in cucina per preparare dei budini con latte e cocco. In India è uno dei componenti di una bevanda rinfrescante, molto usata nelle festività indù, la Paanakam, a base di acqua, zucchero di palma, cardamomo, zenzero e pepe: a questa bevanda sono legati riti e offerte agli dei, ma è dissetante, rinfrescante e sicuramente non molto calorica. Se però posso darvi un consiglio ordinate Paanakam nei ristoranti indiani europei, evitate di farlo in India a meno che non la troviate confezionata in una bottiglia sigillata, l’acqua potabile in India riconosce chi non è del luogo.
Foto di: Luciano Zambianchi
La racconta di questa linfa è anche legata a alcuni focolai di infezione da virus di Nipah trasmesso dai pipistrelli golosi del succo di palma quanto gli uomini. Consiglio la lettura di spillover di David Quammen al capitolo 7. Purtroppo non tutto ciò che sembra green è sano.
Ringrazio la mia lettrice, le voglio bene! Anche perché oltre ai “professionisti americani” della divulgazione scientifica legge quello che scrivo io.
Grazie, e ancora grazie. Io amo il lavoro di molti americani e di molti italiani che per vivere facendo i divulgatori delle scienze naturali emigrano negli USA.
Da europeo però leggo anche la necessità di sensazionalismo che hanno in quel paese, sensazionalismo spesso geniale e che invidio (anche se non pratico).
Probabilmente il dottor David Quammen parla dello zucchero da fiore di palma.
CONCORDO PERFETTAMENTE CON L’AFFERMAZIONE DELLA LETTRICE:
In questo mi è testimone Socrate.
Ma attenta a chi non verifica le sue affermazioni (o magari solo le inesattezze nelle traduzioni, come spesso capita con gli americani ) lo zucchero di palma Phoenix sylvestris, è quello bengalese che si produce bollendo fino a far addensare la linfa raccolta siringando la pianta. Non ho dati certi sulla temperatura raggiunta nell’ebollizione, ma è almeno uguale a 99 gradi e la temperatura è mantenuta per almeno 15 minuti (alcuni sostengono 30 minuti).
Secondo gli studiosi europei:
” I serbatoi del virus Nipah sono i pipistrelli della frutta del genere Pteropus (non presente in Italia) che possono infettare gli uomini attraverso:
contatto diretto con la loro saliva,
escrementi,
cibi contaminati dal virus: essenzialmente la frutta; tipica è la contaminazione della palma, con il suo succo che viene utilizzato come bevanda nel sud-est asiatico).
I pipistrelli inoltre possono trasmettere il virus attraverso ospiti intermedi, soprattutto i maiali, ma anche cani, gatti e cavalli. Saranno questi ultimi poi a trasmettere l’infezione all’uomo. Come ultima modalità di trasmissione possibile ricordiamo il contatto uomo-uomo, attraverso l’esposizione ai liquidi corporei; fortunatamente tale meccanismo ha un’efficienza piuttosto bassa (il rischio di contagio inter-umano è quindi ridotto).”
Il processo di produzione dello zucchero da palma P.sylvestris esclude la presenza del virus. Ancora grazie alla lettrice che spero abbia capito che non sono uno che ama scrivere solo per imbrattare la carta.
Luciano Zambianchi