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L’Arco di Giano, passaggio tra il fiume e il Foro

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Dei tanti archi che rallegravano l’antica città di Roma e che, ancora oggi, ci ricordano la transitorietà della potenza e l’immortalità della bellezza, il più particolare è l’Arco di Giano. Sorge dalle parti del Foro Boario, vicino al Circo Massimo. Una zona segnata dalla vicinanza del Tevere, quindi luogo di transiti e scambi commerciali, di bestiame e cibo, insomma di ricchezza concreta. L’Arco di Giano fungeva da accesso al Foro attraverso l’Argileto, la via che costeggiava gli edifici degli argentarii, antichi cambiavalute. Era quindi un luogo comodo e riparato dove i mercanti potevano dedicarsi agli incontri e alle contrattazioni. Infatti, nonostante il nome, è improbabile che quest’arco così particolare fosse dedicato al dio Giano; piuttosto si collega al termine ianus: porta, passaggio. D’altronde quella era la funzione dell’arco e da essa deriva la sua impressionante bellezza fatta di volte, accessi e nicchie.

La solida eleganza dell’Arco di Giano

La sua pianta è quadrata, il che implica la presenza quattro arcate, una per lato: una rarità anche nell’antica Roma. Sulle chiavi di volta dell’Arco di Giano sono presenti le figure di quattro divinità: Giunone, Roma, Minerva e Cerere.

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Robustezza architettonica ed eleganza.

Le prime due dee sono sedute, come assise in trono per suggerire la propria importanza, mentre le altre due sono in piedi ma lanciano comunque il loro messaggio: Minerva con le sue battaglie difende le messi e l’abbondanza di cui Cerere è patrona. Su ogni lato dell’arco ci sono due file di nicchie, ognuna delle quali è incorniciata da due piccole colonne laterali e coperta da un’edicola. Se immaginiamo che per ogni nicchia c’era una statua, possiamo farci un’idea dell’imponenza e della ricchezza di quest’arco così originale.

Da snodo di commercio a fortezza medievale

A differenza di oggi il monumento proseguiva verso l’alto, ma durante il medioevo la famiglia dei Frangipane ne sfruttò la struttura trasformandolo in torre fortificata: chiusero i fornici, abbatterono la sommità e adattarono la parte rimanente alle proprie esigenze. Fu solo nel 1827 che l’arco fu riportato il più vicino possibile al suo aspetto originario. Un altro arco quadrifronte, detto di Malborghetto, ha avuto una sorte simile a quello di Giano benché più drastica: oggi ha assunto la forma di un casale ed è sede di un museo. La robustezza dell’Arco di Giano lo ha comunque salvato dagli sfregi del tempo. Se i Frangipane non l’avessero inglobato in una torre, sarebbe stato lentamente distrutto per trarne materiale da costruzione. Quella del riuso infatti era una pratica normale già per i romani del periodo tardo, anche tra i marmi e i travertini dell’Arco di Giano ce ne sono alcuni di recupero.

Un’identità riscoperta

D’altronde monumento risale già al IV secolo d.C., probabilmente fu fatto edificare da Costanzo II. C’è un’iscrizione nella vicina chiesa di San Giorgio al Velabro, inglobata nella muratura, che fa riferimento alla vittoria di Costanzo II sul suo rivale Magnenzio e potrebbe provenire dall’Arco di Giano. Se così fosse, questo possente arco sarebbe legato al trionfo di Costanzo II, ma non vi sono certezze. Nel dubbio, sappiamo che questo arco racconta storie di ricchezza e di guerra, mentre lui, saldo sui suoi quattro piloni, va avanti guardandoci con gli occhi di Minerva e Cerere. E la vita dell’Arco di Giano intanto prosegue: nel 2015 è stato decorato da installazioni audiovisive da Livia Canella, in un evento multimediale chiamato Popvlvs. Una nuova e meritata primavera fiorita su un monumento che non ha mai smesso di cambiare.

 

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