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Lapis Niger: un mistero dalla notte dei tempi

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Fori imperiali, lapis niger

La fondazione di Roma ha implicato la presenza di influenze greche, etrusche e italiche che vennero unite e fuse fino a creare qualcosa di nuovo, un tronco vigoroso e differente dalle sue stesse radici. E all’epoca più arcaica risale il cosiddetto Lapis Niger, uno scavo nel Foro Romano, relativamente piccolo a pochi passi dalla Curia, in un’area fortemente stratificata. Qui viaggiare nel tempo è facile: basta scendere in profondità, per andare sempre più indietro.

Un luogo e un’iscrizione misteriose come le epoche più antiche

Nero, oscurità, mistero… queste sono le parole ricorrenti quando si parla del Lapis Niger. D’altronde in pochi metri quadrati ci troviamo a contatto con il passato più arcaico di Roma. Possiamo solo immaginare lo stupore inquieto che provò l’architetto Giacomo Boni quando, il 10 gennaio 1899, portò alla luce quest’area quadrata, lastricata di pietre nere. Infatti la collocazione e il colore particolare del rivestimento avvicinavano lo scavo del Lapis Niger all’aspetto che avrebbe dovuto avere il sepolcro di Romolo secondo alcuni testi latini. Questa tradizione antica, che inizialmente fu assunta a tesi di studio e oggi ha perso valore, si basava su un frammento dello scrittore Sesto Pompeo Festo. Pare inoltre che all’epoca di Varrone, nel I secolo a.C., fossero ancora presenti nei pressi del Lapis Niger due statue raffiguranti leoni accovacciati, simbolo ricorrente dei sepolcri. Ma noi sappiamo che sculture simili sono legate anche al culto orientale della dea madre, spesso venerata come pietra nera. Un angolo di Roma misterioso, profanato già nel 309 a.C. durante il sacco operato dai Galli di Brenno. Il Lapis Niger fu poi coperto e pavimentato con pietre scure già in epoca tardo repubblicana, per proteggerlo o celarlo. Tra tutti questi dubbi, è ben chiaro che lì sotto ci sia qualcosa di importantissimo, reputato antico già nel periodo romano classico.

Il lapis niger e la sua iscrizione oscura

Scendendo nel cosiddetto Lapis Niger si incontra un altare a forma di U con accanto quel che sembra un basamento a forma di tronco di cono, probabilmente deputato a sorreggere una statua ormai perduta, e un cippo con un’iscrizione incisa su tutti i lati della pietra. È un testo arcaico e lacunoso, ma inquietante: si tratta infatti di una maledizione scagliata contro chiunque profani quel luogo. L’iscrizione è bustofedica, ossia scritta da sinistra a destra e poi da destra a sinistra, a righe alterne. Le lettere testimoniano un latino arcaico scritto in un alfabeto derivato da quello greco delle colonie orientali e filtrato dagli Etruschi. Possiamo affermarlo per alcune caratteristiche, come la mancanza di differenza tra “o” breve e lunga, e perché in questo percorso c’è una coerenza, una direzione che ricalca lo stesso cammino seguito da Roma. «Chi violerà questo luogo sia maledetto […] al re/ l’araldo […] prenda il bestiame […] giusto» Intorno all’altare e ai due cippi sono stati trovati ex voto e resti di animali sacrificati: forse si trattava di un piccolo sacello per un re o forse di una tomba, o di entrambe le cose. Sicuramente è un luogo fondamentale per gli amanti della lingua latina, visto che questa iscrizione è catalogata come la prima per la sua antichità. Chiamiamo Lapis Niger questo minuscolo pezzo di terra, che sussurra una storia intrisa dei miti più cupi e lontani, forse non adatta agli ascoltatori distratti, in cerca di sfondi scenografici per l’ultimo selfie.

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