Gli studiosi hanno sempre amato domandarsi cosa simboleggi Romolo, il leggendario fondatore di Roma e primo re, perché il mito della fondazione dell’Urbe affonda le sue radici in un’epoca arcaica e affascinante, un periodo in cui il divino e l’umano erano fusi e legati alla natura, in cui la Storia si tramandava codificandosi in simboli e leggende. Romolo e il suo gemello Remo non fanno eccezione a questa regola; cercare di ricostruire ciò che la loro vicenda simboleggia è un viaggio affascinante per qualsiasi innamorato della storia di Roma.
La leggenda della fondazione di Roma
Romolo e Remo nascono ad Alba Longa, in primavera, periodo dell’anno in cui la natura mostra la sua generosa fecondità, tra la fioritura degli alberi e i parti delle pecore. Secondo il mito, la loro madre si chiamava Silvia. Figlia di Numitore, re detronizzato dal proprio fratello Amulio, era stata costretta a diventare sacerdotessa perché non generasse eredi e pretendenti al trono.
Ma gli antichi dei, si sa, non andavano troppo per il sottile quando desideravano una donna e così la giovanissima Silvia viene posseduta da Marte, dio della guerra. Nascono quindi Romolo e Remo, che sono gemelli, fatto già prodigioso in quel mondo. Sono frutto della rottura di un voto sacerdotale, per quanto né il voto né le rottura stessa fossero dovuti alla libera scelta di Silvia che, però, vista la sacralità del suo ruolo, si trova comunque a essere colpevole, etichettata e ricordata quindi come Rea. Condannato alla morte insieme al gemello, Romolo viene gettato in una cesta nel Tevere in piena. Il fiume però depone i bambini sani e salvi su una piccola spiaggia limacciosa nei pressi del Palatino, sotto un fico, che sfama i gemelli con la sua linfa zuccherina. Romolo e Remo crescono in armonia, adottati da Faustolo, custode degli armenti del re di Alba Longa, che pascolano liberi su quei fertili colli più a nord.
Una società vivace e dinamica
Il paesaggio di cui ci parla il mito sembra appartenere a una favola, ma tutt’oggi, dove il cemento non li sfregia, questi luoghi mantengono tutto il loro incanto. I colli all’epoca sono già popolati, lambiti da un fiume che è luogo di transito, perché anche nei periodi più remoti la curiosità dell’uomo ha sempre spinto mercanti ed esploratori dovunque si potesse arrivare. La società di cui parliamo si racconta attraverso miti e simboli, ma è incredibilmente dinamica e prospera. Basti pensare che tra le rovine dell’antichissima città di Gabii, sulla Prenestina, sono stati trovati resti di vasi greci risalenti all’VIII secolo a.C. All’epoca della fondazione dell’Urbe, per intenderci. Ciò che farà il mitico Romolo fondando Roma, sarà dare un assetto cittadino a gruppi di villaggi già presenti sui colli e vicini tra loro, unendo tante piccole comunità di diversa origine e creando, così, qualcosa di assolutamente nuovo. Lo testimonia il rito di fondazione, che alterna elementi latini ed elementi etruschi. I sabini, popolo guerriero delle limitrofe montagne, giungono presto. Anche loro, nel giro di poco tempo, si integreranno a Roma, contribuendo a formare il nuovo popolo, reale, ormai fuori dalla sfera del mito.
Il simboli nella leggenda
La leggenda di Romolo e della fondazione di Roma si lega profondamente alle creature divine che popolavano il sentire dei primi abitanti dei colli. Era un’epoca in cui l’armonia tra il visibile e l’invisibile era fondamentale e gli dei erano funzioni ed energie che permettevano la vita. È una storia intessuta di simboli e divinità dall’aspetto squisitamente legato al territorio: abbiamo lupi, fonti, picchi e fiumi. Tutti elementi che si compenetrano in questa storia già antica, sussurrando la propria che viene ancora più da lontano. I due gemelli, ad esempio, si ricollegano alla figura dei due Lari. Erano divinità domestiche, spiriti di antenati che proteggevano la casa e i suoi abitanti, a volte rappresentati come cani, per evidenziare la loro funzione di custodi. Ma si ricollegano anche agli spiriti della porta, i due stipiti gemelli, Picumno e Pilumno. Ritorna sempre il paragone con entità doppie, uguali e contrarie, che creano un’armonia dinamica, che fa accadere le cose.
Il mito e i ruoli dei gemelli
Romolo, che insieme al suo gemello non sarebbe dovuto sopravvivere, fu salvato dalle acque del Tevere, né più né meno di come avvenne per Mosè grazie al Nilo. Chiaro segno, nella mitologia di ogni epoca, di predestinazione a grandi imprese. Marte, padre distante e silenzioso, mostra ai suoi figli la propria protezione tramite il lupo e il picchio, che erano animali a lui sacri, ma che erano anche figure semidivine di re latini, antenati quindi dei gemelli, nonché animali estremamente diffusi nell’antico Lazio. Romolo rappresenta anche il pastore, delle pecore e del popolo, mentre Remo ricopre il ruolo di lupo giovane, più forte fisicamente ma incapace di trasformare questa energia in maturità costruttiva. Remo contesta e provoca il potere del pastore Romolo, saltando il muro invece di attraversare la porta. Perché anche questi elementi erano sacri e avevano un loro significato: il muro protegge, il cane azzanna il lupo che salta il muro, mentre è benvenuto e amico chi passa dalla porta. Romolo e Remo poi, visti da lontano con i nostri occhi, rappresentano anche la primavera di un popolo capace di unire, assorbire il meglio per nutrirsi e crescere con un’energia e uno slancio costruttivo che la città oggi non ha più. C’è uno splendido libro, ricco e complesso, meritevole di studio oltre che di lettura, dal titolo Remo e Romolo – Dai rioni dei Quiriti alla città dei Romani. L’autore, Andrea Carandini, è uno dei più importanti archeologi italiani, che all’epoca della fondazione di Roma ha dedicato studi, libri e scavi. La Città Eterna compie gli anni il 21 aprile: facciamole i nostri auguri, magari immaginando un’epoca lontana in cui Roma era giovane e l’ululato del lupo era voce di un dio.