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La dea Manasa in Bangladesh comanda sui serpenti

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Manasa dea induista
Davanti all’altare di Manasa le statuette di Behula e Lakshinder

Come vi ho raccontato nella precedente puntata Rafiq Dhali, il mio fratello bangladese, è stato morso da un cobra, ma per fortuna si è salvato: a mio parere per il tempestivo intervento medico, a sentire lui per le preghiere dei suoi amici e famigli. La grande quantità di serpenti in Bangladesh è la prima ragione per cui, Islam a parte, la dea Manasa che ha il potere di comandare sui serpenti, è rispettata e conosciuta da tutti, anche dai non Indù. Il secondo motivo del rispetto alla dea sta nella stratificazione anche fisica delle religioni e nell’usuale abbandono praticato dai

Manasa dea induista
Davanti all’altare di Manasa le statuette di Behula e Lakshinder

bangladesi dei manufatti civili e religiosi non più usati: così i luoghi sacri del buddismo, una volta abbandonati vennero dimenticati e con il tempo ne venne dimenticato anche l’uso. È solo da poco che è ripresa l’attività archeologica e lo studio della storia anche non islamica, non c’è ancora una cultura del vecchio o dell’antico, così il popolo, quando ha visto delle stanze senza finestre intorno ad una stanza centrale, ha collegato le vecchie storie indù alle rovine degli scavi, introducendo alcune libertà poetiche.

Sono andato personalmente a visitare il sito archeologico che ha dato origine alle fantasie popolari, un antico stupa buddista poi riutilizzato (sempre dai buddisti) nel VI-VII secolo, riporto alcune delle immagini di quello che ho potuto vedere e potrete leggere le iscrizioni in lingua originale (per fortuna in questo posto c’è uno dei rarissimi cartelli bilingue)! È ufficiale, la fantasia popolare ha collegato le centosettantadue stanze cieche (che formano i muri di supporto dello stupa) alla storia di Behula e Lakshinder,

una fiaba Indù di una “esemplare” moglie fedele e del suo povero marito eroe (suo malgrado). Ora che ho dato il contesto penso di potervi narrare la favola, nella versione che mi ha raccontato per dieci Taka (l’equivalente di 10 centesimi di euro) un ragazzino del posto che mi ha assediato con la precisa richiesta: “Ten Taka, ten Taka, ten Taka!”.

La storia di Manasa, figlia di Shiva, che comanda sui serpenti

dea induista Manasa altare
Un altare dedicato alla Dea Manasa in un centro religioso in una località agricola

Ho scoperto da poco che di questa storia morale esistono diverse versioni. Tutto ha inizio in cielo (o dove vivono gli dei Indù): Manasa, figlia di Shiva e aspirante dea dei serpenti ha dei problemi con un mortale, Chand Sadagar, che è devoto a Shiva ma non apprezza Manasa; Chand è un bravo fedele (forse imparentato con la madre di Manasa: Chandi), esegue le preghiere e gli scongiuri rituali per tutti gli dei, ma mai usa la stessa cura nei confronti di Manasa, soprattutto si rifiuta di usare la mano sinistra per onorarla ed era proprio questo il riconoscimento che mancava a Manasa per diventare dea. Per questo, dopo aver richiesto e non ottenuto il desiderato rispetto da Chand, Manasa lo maledice e ordina ai suoi sudditi (i serpenti) di uccidere in ordine di nascita i sette figli di Chand Sadagar. In questo modo l’aspirante dea aveva intenzione di mandare un messaggio a chi non la rispettava e non aveva paura dei suoi sudditi. Chand per ogni figlio che moriva odiava ancora di più la semidea Manasa ed arrivò a giurare che mai più avrebbe fatto sacrifici per lei. Quando rimase vivo solo il suo ultimo figlio (Lakshinder) Chand chiese aiuto agli altri dei e ai santi sacerdoti per sapere come l’avrebbe potuto salvare. Purtroppo tutti concordarono che Lakshinder sarebbe morto per un morso di serpente il giorno delle sue nozze. Disperato decise di mettere in atto diverse strategie, cercò come sposa per suo figlio una ragazza per cui l’oroscopo decretava che mai sarebbe rimasta vedova, la ragazza era Behula. Anche nella religione induista, come per le antiche religioni indoeuropee “il fato” ha potere anche sugli dei, anche su quelli che contano di più. Perciò se la ragazza non poteva rimanere vedova la dea era “fregata”!  Chand  poi, per prudenza, si rivolse ai migliori artigiani per far costruire una stanza che fosse realmente sicura e a prova di serpente (secondo i locali le 172 stanze cieche intorno alla camera da letto). Ma la semidea infida e più furba di Chand corruppe uno dei muratori che lasciò un forellino quasi invisibile, ma sufficiente a far passare un serpente. Così nella notte delle nozze, quando Behula si stava coricando con Lakshinder, arrivò Kalnagini (il giustiziere di Manasa) che controllando con i suoi occhi penetranti scoprì che Behula era così eccezionale da non aver peccati e quindi non avrebbe meritato la pena che indirettamente le avrebbe inflitto uccidendo il marito, ma il capo è il capo, e quando è addirittura una aspirante dea è meglio trovare una scappatoia, così Kalnagini improvvisò uno stratagemma: intrise con l’olio della lampada la sua coda e la passò sui capelli di Behula che risultarono unti sulla riga, questo secondo le prescrizioni Indù era un peccato, anche se non proprio mortale e sicuramente ottenuto in modo truffaldino. Quando Behula vide il serpente, Kalnagini gli scagliò contro tutto quello che aveva ma non riuscì a fermarlo.

cartello bangladesh tempio goluk medh
Il cartello bilingue in cui gli archeologi descrivono lo stupa.

Lakshinder era già stato morso ed era morto. Qui viene il bello, intanto Behula era ancora pura, il matrimonio non era stato consumato, e in aggiunta aveva un oroscopo che le impediva di restare vedova, ma soprattutto non era disposta ad arrendersi: quella che aveva subito era un’ingiustizia inaccettabile sia per sé che per il suo amato sposo. Quindi si ribellò rifiutando l’evidenza: non era giusto che il suo sposo fosse morto, si rifiutò di cremarne il corpo (come imponeva la fede Indù) e pianse, fino a perdere tutte le sue lacrime, poi messo il corpo su una zattera risalì il fiume contro corrente fino ad arrivare in cielo, lì gli dei la ascoltarono ma non furono tutti convinti delle sue buone ragioni ed allora Behula, con la morte nel cuore ma con tutta la sua passione, si mise a danzare in modo sublime e tutti gli Dei capirono il suo dolore e  l’amore per Lakshinder, si commossero e cercarono una soluzione. Ne parlarono anche con Manasa e alla fine stabilirono che Lakshinder era stato ucciso ingiustamente, sia per l’intervento truffaldino del serpente, sia perché il fato aveva stabilito un finale diverso. All’unanimità decisero che per queste ragioni doveva essere resuscitato, a patto che Chand Sadagar si decidesse ad onorare in modo corretto Manasa. Tornata a casa Behula raccontò la sua avventura al suocero e lo implorò di rispettare la volontà degli dei. Chand incredulo, ma disperato per la morte dell’ultimo figlio, e anche lui commosso per i grandi sacrifici della nuora, rinunciò al suo orgoglio, venne meno al suo giuramento e usò la mano sinistra per onorare Manasa. A questo punto Manasa divenne ufficialmente una dea e per la contentezza e per il rispetto che è dovuto ad un uomo giusto resuscitò tutti i sette figli di Chand Sadagar. Per il suo coraggio, la sua ferrea volontà, il suo amore e la sua fedeltà Behula è diventata il simbolo della donna bangladese, ed è ancora oggi ricordata in romanzi radiofonici, nelle poesie (Jibanananda Das),  nella letteratura moderna: ricordo ai distratti che il premio Nobel Tagore, il moderno cantore dell’India, è bangladese. Come avete potuto verificare sul cartello Behula è ricordata anche in archeologia. La versione Indiana della fiaba non colloca la camera da letto dei due al centro dello stupa, ma al centro di una camera di ferro a prova di serpente, costruita dal miglior artigiano indiano che però, ricattato da Manasa, lasciò il buchino fatale. Un’ultima nota è per i miei amici occidentali che difficilmente si possono rendere conto di come la “vittima” di un matrimonio combinato possa comportarsi in questo modo eroico ed appassionato. Anch’io non me ne capacitavo, poi ho potuto constatare di persona (ho avuto l’onore di fare il sensale in un “normale” matrimonio combinato) e ho potuto vedere da vicino le espressioni del volto della futura sposa: lei era incredibilmente raggiante, anche se aveva visto solo una foto del suo promesso sposo.

A proposito, Manasa viene rappresentata come una bellissima donna con sette cobra che le fanno corona e altri serpenti a guardia del suo altare, a volte ha più braccia, altre volte ha in grembo suo figlio Astika. Nel pantheon induista Manasa risulta figlia di Lord Shiva e da lui successivamente sposata e ripudiata, venne odiata dalla matrigna (che si chiamava Chandi !? Parente serpente di Chand?) che la vessò in ogni modo ed arrivò a togliere un occhio alla figlia mentre stava dormendo.  Per questo la dea del veleno e dei serpenti è anche la dea degli occhi (l’equivalente di Santa Lucia). Ho trovato e vi ho mostrato alcune foto che ho scattato all’altare dedicato a Manasa in una zona agricola della provincia di Shariatpour, nel luogo in cui, secondo il prete Indù, un avamposto dell’esercito di Alessandro Magno aveva costruito una torre di cui sono ancora visibili i ruderi. In terra ai piedi della dea si possono vedere i simulacri di Behula e Lakshinder. In casa del religioso ho fotografato anche la corona di Manasa, che i credenti (e non) seguono durante le processioni rituali per farsi amici i serpenti, tutti concordi che un santo in più…

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Dopo aver chiuso alcune delle mie vite precedenti, quella sindacale (da Presidente FIARC Confesercenti a Roma), quella politica (membro effettivo Commissione Centrale Ruoli presso il Ministero del Lavoro), quella da redattore e autore nel mondo della carta stampata (Acquari & Natura, L’acquario ideale, Le mie prime venti Aloe, Piante Grasse), quella da tecnologo nell’elettronica industriale, quella da segretario nazionale dell’Associazione Italiana Amatori delle piante Succulente (AIAS), quella da libraio (Einaudi) a San Lorenzo a Roma, quella di formatore e consulente (master PNL), finalmente da alcuni anni posso dedicarmi alle mie passioni: lo studio e il restauro di orologi antichi (con lavori citati anche in Wikipedia), l’allevamento e lo studio di tartarughe terrestri, la coltivazione di qualche centinaio di piante, la partecipazione alle attività di associazioni naturaliste scientifiche (ERPISA, bibliotecario SRSN), l’alfabetizzazione del WEB con la lotta alle bufale e alle “credenze” prive di ogni fondamento che imperversano in rete, oltre allo studio e alla diffusione della cultura ambientale. luciano@einaudiroma.it

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