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Zafferano: una storia che si perde nel mito

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cucchiai di zafferano

Anche per parlare dello zafferano, azafrán secondo gli spagnoli, azafrai (basco), safrà (catalano), azafrán (galiziano), safran (francese), saffron (inglese), saffran (tedesco), sáfrány (ungherese), szafran (polacco), safranu (rumeno), shafran (russo), zaferen (turco), khekhrum (armeno), zafran (India), hong hua (Cina), incominciare dall’inizio della storia è il modo migliore per collocare il fenomeno nelle sue giuste dimensioni. È sicuramente interessante la convergenza dei nomi con cui la spezia è chiamata nel mondo, ma anche questo ci dà solo indizi.

Lo zafferano: l’inizio della storia

Il problema, come avevo già anticipato, è che non si conosce il momento esatto in cui collocare un ipotetico inizio, ma storicamente è possibile individuare un luogo mitico, Azupiranu, che vuol dire città dello zafferano (forse in Mesopotamia lungo le rive dell’Eufrate). Luogo mitico perché, nonostante le ricerche, gli archeologi non sono riusciti a conoscerne l’esatta collocazione, secondo un testo neo-assiro è il luogo di nascita del re Sargon il Grande, che secondo i più recenti studi visse tra il 2335 e il 2279 a. C.. Azupiranu deve il suo nome al fatto che, sempre secondo l’antico testo, era il principale centro per il commercio dello zafferano.

Rimaniamo nel mito, ma questa volta greco: lo zafferano nasce per colpa di Croco, che si era invaghito della ninfa Smilace e poiché la ninfa era irraggiungibile Croco pregò Zeus di aiutarlo a raggiungere il suo amore, così Zeus, raccogliendo la richiesta del giovane Croco, trasformò entrambi in piante, lui nella pianta dello zafferano (Crocus sativus), lei nella pianta della salsapariglia (Smilax aspera), la “strappabraghe”. In questo modo i due morirono amandosi.

Dai greci ai romani

Nella mitologia romana invece la colpa è di Mercurio che aveva un amico mortale, Croco, ma un giorno per errore lo uccise (è sempre pericoloso frequentare certe amicizie); allora Mercurio trasformò l’amico in un fiore e tinse il suo interno con il rosso del suo sangue, in questo modo tutti lo avrebbero ricordato per sempre. Ovidio cambiò un poco la storia e, integrando i due miti raccontò del grande amore tra la ninfa Smilace e il guerriero Kroco, però quest’amore era contrastato dagli dei e così Kroco si suicidò e la sua morte fece impazzire Smilace. Zeus rimase tanto colpito dalla profondità di quest’amore che volle premiare gli amanti facendoli rivivere in due piante (il croco e la salsapariglia). Di solito dai miti si riesce ad estrapolare qualche verità, ma questa volta mi pare impossibile, l’unica cosa che emerge è che dai tempi antichi gli uomini sono sempre stati affascinati dal fiore di croco e dallo zafferano che ne veniva estratto.

Lo zafferano in Italia: dal medioevo ad oggi

In Italia altre storie e altri miti giustificano, o segnalano, la presenza storica della spezia. A partire da un toponimo: il nome del paese di Zafferana Etnea che, da stazione di cambio romana, si trasforma prima in monastero benedettino e solo verso la fine del 1300 acquisisce il nome di “Zafferana”, che secondo alcuni deriva dal fatto che tutta la zona era ricca di gialle ginestre, e quindi il nome deriverebbe dall’arabo “zaʻfarān” (زعفران). Tuttavia secondo la Nuova Enciclopedia Italiana del Boccardo (U.T.E.T. Torino 1875), il nome è dovuto allo zafferano, che era la principale fonte di ricchezza del paese. A sostegno della tesi del Boccardo c’è un quadro di Giuseppe Rapisardi (Madonna della Provvidenza del 1838) custodito nella chiesa del paese: nel quadro è rappresentato, davanti alla Madonna, un vaso con i fiori dello zafferano.  Sono convinto che il quadro poco c’entri con la nascita del nome, che è certamente collegato alle coltivazioni locali, ma non del croco (quasi sicuramente successiva alla nascita del nome).

Zafferano in polvere

Sono molte le storie locali legate al fiore del croco, e alcune si richiamano tra loro, non pretendo di riportarvele tutte, anche se i miei informatori hanno fatto un buon lavoro. A Civitaretenga (frazione di Navelli) in provincia dell’Aquila, è possibile visitare la chiesa della Madonna rossa dello zafferano, oggi Madonna dell’arco, in cui è nato il culto della “vergine dello zafferano”, un quadro del 1500 che ritrae una Madonna.

Storie legate al risotto allo zafferano

Secondo la tradizione anticamente il luogo, lambito da un vecchio tratturo, era una stalla di un’osteria in cui capitò un pittore, l’oste lo mise a dormire nella stalla e l’artista sognò la Madonna che gli chiese un ritratto. Il pittore non aveva con sé i colori e così andò in cucina e trovò dello zafferano con cui dipinse il ritratto sul muro vicino al suo pagliericcio. Da allora il ritratto fu venerato e ci furono diversi miracoli, al punto che venne costruita la chiesa. Ricordo che ci sono altre versioni della stessa storia: secondo una signora che abita in paese, un pittore itinerante e squattrinato che passava da quelle parti offrì all’oste di pagare vitto e alloggio con un suo quadro e così incominciò a dipingere una Madonna, ma aveva finito i colori e così sospese il suo lavoro. Durante la notte però gli comparve in sogno una bellissima donna con un bimbo in braccio, il sorriso era così dolce che non potette fare a meno di svegliarsi per dipingerlo, ma i colori erano finiti e così andò in cucina e trovato dello zafferano lo stemperò in un poco d’acqua e completò il quadro.  

Un altro gruppo di storie è legato al risotto allo zafferano. Una narra di un pittore chiamato a Milano per affrescare una chiesa, purtroppo era povero per colpa delle spese che aveva sostenuto per acquistare i colori e per questo mangiava solo un pugno di riso al giorno. Per caso un poco di zafferano cadde nel suo riso e lui, che aveva fame, fece buon viso a cattiva sorte e si fece coraggio ed assaggiò quel riso, lo trovò buonissimo e così smise di fare il pittore e si arricchì aprendo una trattoria in cui serviva solo risotto allo zafferano. Un’altra storia parla di un povero ristoratore abruzzese che, trasferitosi a Milano, serviva solo riso, la sua trattoria era frequentata solo da poveri senza soldi, così uno dei suoi clienti come pagamento lasciò un pugno di zafferano. L’oste che aveva finito l’olio provò ad aggiungere al riso cotto del grasso e dello zafferano, ne risultò un composto così appetitoso che in breve a Milano tutti vollero assaggiarlo e l’oste divenne ricco. Permettetemi di riportare solo un’ultima storia legata al risotto, forse la più famosa: il pittore Valerio di Fiandra era stato chiamato a Milano per realizzare la vetrata di Sant’Elena, con lui lavorava, nella fabbrica del Duomo, un garzone che era bravissimo a mescolare ai colori lo zafferano per dare l’idea del dorato. Proprio per questo il suo padrone lo chiamava direttamente “zafferano”. Quando la figlia di Valerio di Fiandra si sposò, il giovane volendo fare un regalo agli sposi, ma non avendo soldi, si presentò con due pentoloni di riso condito con lo zafferano, era dorato e profumatissimo e piacque a tutti, era nato il risotto allo zafferano!

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Dopo aver chiuso alcune delle mie vite precedenti, quella sindacale (da Presidente FIARC Confesercenti a Roma), quella politica (membro effettivo Commissione Centrale Ruoli presso il Ministero del Lavoro), quella da redattore e autore nel mondo della carta stampata (Acquari & Natura, L’acquario ideale, Le mie prime venti Aloe, Piante Grasse), quella da tecnologo nell’elettronica industriale, quella da segretario nazionale dell’Associazione Italiana Amatori delle piante Succulente (AIAS), quella da libraio (Einaudi) a San Lorenzo a Roma, quella di formatore e consulente (master PNL), finalmente da alcuni anni posso dedicarmi alle mie passioni: lo studio e il restauro di orologi antichi (con lavori citati anche in Wikipedia), l’allevamento e lo studio di tartarughe terrestri, la coltivazione di qualche centinaio di piante, la partecipazione alle attività di associazioni naturaliste scientifiche (ERPISA, bibliotecario SRSN), l’alfabetizzazione del WEB con la lotta alle bufale e alle “credenze” prive di ogni fondamento che imperversano in rete, oltre allo studio e alla diffusione della cultura ambientale. luciano@einaudiroma.it

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