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Il marchio DOP dello zafferano abruzzese

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zafferano abruzzese

Ho scoperto le origini delle notizie sulla produzione dello zafferano in Abruzzo che ho definito nelle pagine precedenti come poco credibili: ho letto un libretto di Luciano Di Francesco che, nel 1972, da vicedirettore dell’ispettorato agrario dell’Aquila, ha svolto molte ricerche ed approfondimenti sulla coltivazione del Crocus sativus nell’aquilano. Luciano Di Francesco ha pubblicato molti articoli sia sulla storia che sulla coltivazione e la cura della pianta dello zafferano e, nel 1990, anche un libro: “Lo zafferano”. Dai suoi scritti traspare tutta la sua concretezza da perito agrario con cui aiutava i lettori della rivista “La vita in campagna” (ora una pubblicazione dell’Informatore Agrario) a curare i bulbi del Crocus. Nel suo libro Di Francesco riporta una tabella con una specie di validazione dei suoi dati che indica nella nota “dati forniti dalla Camera di commercio dell’Aquila”; chi ha usato i sui numeri come una verità assoluta non ha letto quali erano i dati forniti dalla Camera di commercio che riguardavano solo il “prezzo alla produzione” dello zafferano.

A mio parere la quantità di territorio dedicata alla coltivazione del Crocus era da considerare esagerata: secondo la tabella (che potrete vedere nell’immagine) nel 1910 la produzione dello zafferano nella provincia dell’Aquila era ben sei volte l’attuale produzione nazionale. Oggi devo ricredermi! Conoscendo l’attuale situazione della zona avevo fatto i miei conti senza prendere in considerazione la creatività dei contadini aquilani. Continuando nelle mie ricerche ho scoperto che grazie ad alcuni accorgimenti i contadini erano riusciti ad utilizzare, per la coltivazione dello zafferano, centinaia di ettari di terreno residuo in cui era proibito coltivare qualsiasi altro prodotto. Mi ero fatto impressionare dai numeri che mi spingevano razionalmente a definire poco credibile, anche considerando le situazioni geo-politiche degli anni presi in considerazione, che le produzioni aquilane fossero quelle indicate.

Non voglio tediarvi con riflessioni cervellotiche, ma per realizzare una produzione di circa 10 kg di zafferano per ettaro occorrevano, e ancora occorrono, 10 tonnellate di bulbi sempre per ettaro. L’impiego di 300 ettari nell’aquilano collocava nella zona, nel 1910, una montagna di ben 3000 tonnellate di bulbi di Crocus sativus e una incredibile quantità di manodopera impiegata. Per i bulbi posso confermarvi che l’errore c’è, ma per difetto: in alcuni anni la reale occupazione del territorio ha raggiunto e superato i 400 ettari, anche se non tutti coltivati con la stessa intensità; per la manodopera invece l’impiego dei bambini (che a quei tempi non avevano obblighi scolastici) e la concentrazione delle attività di coltivazione e lavorazione in pochi mesi, mi hanno definitivamente convinto della esattezza dei numeri presenti nella tabella. Se avrete la pazienza di continuare a leggermi scoprirete la ragione che ha sostenuto la super produzione dello zafferano aquilano. Ora permettetemi due parole sui sistemi tradizionali di coltivazione, che emergono dai capitolati degli organismi di tutela.

La DOP dello zafferano

Da oltre dieci anni allo zafferano italiano, ed in particolare allo zafferano dell’Aquila, è stato concesso, dalla Comunità Europea, il marchio DOP. Questo marchio viene attribuito dalla Comunità Europea a prodotti con particolari caratteristiche qualitative, i cui produttori ne abbiano fatto richiesta dimostrando che le specifiche qualità dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui vengono realizzati. È naturale che lo zafferano rientri in questi prodotti. Già nel dicembre del 2002 il Ministero delle Politiche agricole e forestali e la Cooperativa Altipiano di Navelli inviarono alla Comunità Economica Europea la domanda per il riconoscimento di prodotto italiano DOP allo zafferano prodotto nella zona dell’Aquila. A febbraio 2005 la CEE ha riconosciuto la qualità di Denominazione di Origine Protetta allo “Zafferano dell’Aquila”, indicandone (e quindi tutelandone) sia i disciplinari di commercializzazione che di produzione. L’anno successivo lo stesso percorso ha autorizzato lo “Zafferano di San Gimignano DOP”. Ancora dopo è toccato allo “Zafferano di Sardegna DOP” e allo “Zafferano DOP purissimo di Maremma”.  Non si può certo escludere che, nei prossimi anni, vengano concessi ulteriori riconoscimenti a prodotti di altre regioni. Le differenze tra i vari capitolati di produzione sono poche e riguardano, oltre agli specifici territori di produzione, soprattutto la quantità massima di produzione per ettaro, quindi concimazione e annaffiature, ma anche i tempi di rotazione delle coltivazioni e le modalità di essiccazione degli stigmi.

Stimmi di zafferano

Un esempio di capitolato di produzione dello zafferano abruzzese

Credo sia giusto chiedere una migliore qualità ai produttori di zafferano, ma contemporaneamente è corretto che i produttori abbiano una maggiore protezione giuridica, proprio per questo riporto uno dei capitolati inseriti nella richiesta di riconoscimento di prodotto italiano con denominazione d’origine protetta. Spero in questo modo di dare un piccolo aiuto a quei produttori che vorranno fare richiesta della qualifica DOP per i loro prodotti.

Dalla domanda per ottenere la DOP allo zafferano dell’Aquila

Nome: «Zafferano dell’Aquila»

Descrizione: Prodotto ottenuto dalla tostatura degli stimmi del fiore del Crocus Sativus L., pianta tubero-bulbosa appartenente alla famiglia delle Iridaceae, avente colore rosso porpora e commercializzato in filamenti allo stato naturale o ridotti in polvere.

Caratteristiche del prodotto ammesso a tutela:

— Polvere

  • Colore Aroma
  • Numero di Crocina > 7,5 % Numero di Safranale > 3 %
  • 1°/000 E>1 440
  • ∆ E Picocrocina > 0,400

— Filamenti

Colore Aroma

Numero di Crocina > 6 % Numero di Safranale > 4 %

1°/000 E > 0,800 440

∆ E Picocrocina > 0,400

Zona geografica: La zona di produzione dello «Zafferano dell’Aquila» comprende il territorio dei comuni di: Barisciano, Caporciano, Fagnano Alto, Fontecchio, L’Aquila, Molina Aterno, Navelli, Poggio Picenze, Prata d’Ansidonia, San Demetrio nei Vestini, S. Pio delle Camere, Tione degli Abruzzi, Villa S. Angelo. I confini dell’area sono definiti dal perimetro dei territori dei comuni suddetti. Nell’ambito dell’area la coltivazione dovrà essere praticata in quei terreni posti ad un’altitudine compresa tra 350 e 1000 metri s.l.m.

Prova dell’origine: Numerosissime fonti storiche documentano con dovizia di particolari le vicende che per oltre sei secoli sono state legate alla produzione ed alla commercializzazione dello zafferano nella provincia dell’Aquila. Addirittura le alterne fortune del comprensorio e lo sviluppo economico e quindi urbano, della stessa città di L’Aquila, sono stati strettamente legati alla disponibilità di questo prodotto assurto in alcune epoche storiche a vero e proprio bene rifugio, particolare questo, che gli ha conferito l’attributo di «Oro vermiglio». L’importanza assunta dalla commercializzazione dello Zafferano indusse molti commercianti, soprattutto del nord Europa, a stabilire una fissa dimora a L’Aquila, creando così le premesse per una fiorente attività economica ed un intenso scambio culturale che favorirono moltissimo l’evoluzione dei rapporti sociali e politici tra le popolazioni locali e quelle del centro e nord Europa. In questo caso porre in essere la tutela della DOP significa non soltanto salvaguardare un prodotto commerciale soggetto ad imitazione e ad usurpazione della denominazione per le caratteristiche merceologiche uniche, bensì tutelare il patrimonio storico e culturale nell’area considerata, ancora oggi vivo e presente nelle pratiche colturali, in cucina, nelle quotidiane espressioni idiomatiche e manifestazioni folcloristiche. La consapevolezza che la tutela della denominazione d’origine protetta presuppone la certezza dell’origine del prodotto, impone particolari procedure per assicurare la tracciabilità delle varie fasi di produzione. Pertanto i produttori dello «Zafferano dell’Aquila» e le particelle catastali su cui si coltiva, verranno iscritti in appositi elenchi gestiti dall’organismo di controllo di cui all’articolo 10 del regolamento CEE n. 2081/92.

Sistema di coltivazione dello zafferano

Metodo di ottenimento: Il sistema di coltivazione del Crocus Sativus L., dal quale si ottiene lo Zafferano DOP, adotta le seguenti pratiche colturali, desunte direttamente da quelle tradizionalmente in uso nella zona. Le operazioni di preparazione del terreno prevedono: aratura ad una profondità di 30 cm ed interramento di concime organico, affinamento e livellamento della superficie, preparazione delle aiuole e apertura da 2 a 4 solchi alla distanza di 20-25 cm che ospiteranno la nuova piantagione. È vietato l’apporto di qualsiasi altro tipo di fertilizzante durante il ciclo vegetativo. I bulbo-tuberi, raccolti nella prima metà di agosto, devono essere cerniti, avendo cura di selezionare quelli più grandi ed esenti da attacchi parassitari, reimpiantati, con l’apice vegetativo rivolto verso l’alto, nel nuovo terreno nella seconda metà di agosto. La rotazione colturale è di cinque anni. Entro ogni fila i bulbi vanno posti a fila continua, la quantità di bulbi necessari oscilla tra   500000-600000 per ettaro, ovvero 7-10 t/ha.

Dopo la semina vanno effettuate semplici operazioni colturali di rincalzatura e zappatura. Non è consentito il diserbo chimico mentre le irrigazioni sono consentite solo in casi di eccezionali siccità.

Legame: La pianta del Crocus sativus, dal cui fiore si ricava lo zafferano, ha trovato da oltre 800 anni terreno fertile per la crescita proprio nella piana di Navelli, zona tipica di produzione dello «zafferano dell’Aquila» in provincia dell’Aquila, che degrada da 900 fino a 700 metri di altitudine. Sono proprio le caratteristiche pedoclimatiche tipiche della zona di produzione a rendere così peculiare lo zafferano dell’Aquila, la cui coltura, infatti, si trova in un territorio atipico e quasi limite tenendo conto delle caratteristiche bio-ecologiche della pianta. Le coltivazioni aquilane di zafferano ricadono in un territorio submontano (le colture sono impiantate a 350-1000 metri), il più elevato dell’area mediterranea dove si coltiva zafferano, con piovosità annua di circa 700 mm e precipitazioni anche in estate (oltre 40 mm). Nelle altre zone a zafferano del Mediterraneo i valori pluviometrici, invece, sono alquanto modesti. La temperatura media estiva, inoltre, nella provincia dell’Aquila non supera i 20-22 °C. Tutti questi indici fanno sì che il territorio dell’Aquila rientri nel bioclima mediterraneo temperato, quasi al limite col piano umido. La zona di produzione dello zafferano dell’Aquila presenta un terreno di medio impasto a struttura humus-argillosa, che assicura una buona ritenzione idrica, mentre l’elevato contenuto in sabbia conferisce scioltezza ed areazione. Buono è il contenuto in calcare attivo ed elevata la sostanza organica, basso il contenuto di fosfati e buono quello del potassio. Le caratteristiche chimiche e la scioltezza del suolo rendono il territorio particolarmente idoneo alla coltivazione dello zafferano dell’Aquila ben distinguibile da altri tipi di zafferano. Lo zafferano dell’Aquila deve la sua peculiarità, oltre agli aspetti pedoclimatici della zona di produzione, anche grazie alle pratiche agronomiche plurisecolari, che sono state messe in atto dall’uomo per far sopravvive lo zafferano in un tale ambiente submontano e piovoso. Nel corso dei secoli si misero a punto tecniche di selezione dei bulbi ed una pratica colturale con ciclo annuale. La tecnica di coltivazione tipica per la produzione dello zafferano dell’Aquila, caratterizzata dal sistema di propagazione, oltre ad assicurare la sopravvivenza della specie, diversifica ulteriormente la pianta da varietà analoghe coltivate in altri areali sia nazionali che esteri.

La raccolta dello zafferano

La raccolta dei fiori viene fatta esclusivamente a mano proprio per non arrecare danno agli stimmi contenuti in essi. La fase della tostatura degli stimmi, che consiste nella parte più importante per la produzione dello zafferano dell’Aquila, viene giudicata terminata solo grazie alla mano esperta dell’addetto a tale operazione, la cui tecnica si tramanda di generazione in generazione. Numerosi documenti attestano che la coltivazione dello Zafferano nella provincia di L’Aquila veniva effettuata già dal XIII-XIV secolo. L’importanza economica assunta e le alterne fortune hanno segnato fortemente la vita delle popolazioni locali, favorendo scambi commerciali con diverse aree europee come si può desumere dalle notizie storiche. Inoltre, la particolarità biologica di questa pianta che si propaga solo per clonazione, in quanto sterile triploide, fa sì che in mancanza di una evoluzione genetica legata alla riproduzione gamica, la pianta mantenga inalterati i caratteri nel tempo. Questa particolarità rende lo «Zafferano dell’Aquila» un fossile vivente in quanto, sia i caratteri botanici della pianta, che le tecniche colturali impiegate per la coltivazione, sono rimasti invariati da oltre 600 anni. Ne consegue che le piante coltivate nella provincia dell’Aquila rappresentano una popolazione, che definiamo cultivar o biotipo perché le piccole modifiche biologiche che la distinguono da altre cultivar sono intervenute esclusivamente a causa delle particolari condizioni pedoclimatiche dell’area.

Naturalmente vi ho risparmiato le specifiche descrizioni dei marchi che dovranno essere posti a tutela dei prodotti, ma che devono essere riportati dettagliatamente nelle richieste alla CEE.

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Dopo aver chiuso alcune delle mie vite precedenti, quella sindacale (da Presidente FIARC Confesercenti a Roma), quella politica (membro effettivo Commissione Centrale Ruoli presso il Ministero del Lavoro), quella da redattore e autore nel mondo della carta stampata (Acquari & Natura, L’acquario ideale, Le mie prime venti Aloe, Piante Grasse), quella da tecnologo nell’elettronica industriale, quella da segretario nazionale dell’Associazione Italiana Amatori delle piante Succulente (AIAS), quella da libraio (Einaudi) a San Lorenzo a Roma, quella di formatore e consulente (master PNL), finalmente da alcuni anni posso dedicarmi alle mie passioni: lo studio e il restauro di orologi antichi (con lavori citati anche in Wikipedia), l’allevamento e lo studio di tartarughe terrestri, la coltivazione di qualche centinaio di piante, la partecipazione alle attività di associazioni naturaliste scientifiche (ERPISA, bibliotecario SRSN), l’alfabetizzazione del WEB con la lotta alle bufale e alle “credenze” prive di ogni fondamento che imperversano in rete, oltre allo studio e alla diffusione della cultura ambientale. luciano@einaudiroma.it

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