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La Simulmondo, storia della prima software house italiana

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Il CEO di IV Productions Ivan Venturi, uno dei protagonisti della Simulmondo

Go 64. Are you sure? Y. E con questa formuletta si passava dal Commodore 128 alla versione 64. E ammetto di averla fatta migliaia di volte quando volevo misurarmi in uno degli innumerevoli videogiochi che compravo in edicola. E tra questi vi erano i prodotti della prima software house italiana, la bolognese Simulmondo che, con le sue simulazioni sportive, mi aveva conquistato all’istante. Va da sé che per i nati nella seconda metà degli anni ’70, giocare al computer era un’esperienza sensoriale unica fatta di caricamenti infiniti del registratore, di musichette di sottofondo che partivano inaspettatamente e joystick puntualmente distrutti dopo pochi mesi. Per ricostruire una certa epopea dell’home-computing in Italia e per ripercorrere in filigrana gli anni dell’adolescenza di molte persone, Greenious ha intervistato il CEO di IV Productions Ivan Venturi, developer e designer della Simulmondo.

Allora Ivan, credo che sia utile ripercorrere un po’ lo spirito di quei tempi. Siamo alla fine degli anni ’80 e in pieno boom dei videogiochi. Che aria tirava in giro?

L’aria che tirava a cavallo degli ’80 e ’90 era un misto di esaltazione e clandestinità. Esaltazione perché il mondo dei videogiochi era agli inizi e c’era il sentore che qualcosa di nuovo stesse accadendo, clandestinità perché le informazioni circolavano tra appassionati e addetti ai lavori ma i media ufficiali non si occupavano ancora dei videogame e non esisteva Internet. Per noi pionieri del settore, il momento di maggiore visibilità era dato dalla presenza in edicola delle cassette con le compilation di giochi per computer e solamente in questo modo si poteva intuire la portata di quello che stava succedendo. L’home-computing era ai primordi e c’era quel sapore pionieristico di vivere un’esperienza unica. Non dimentichiamo poi l’altra faccia della medaglia ossia la pirateria in quanto i videogiochi venivano doppiati con molta facilità.

E in quei mesi vedeva la luce la Simulmondo, la prima software house italiana di videogiochi conosciuta all’estero. Con quale spirito nacque?

La Simulmondo nacque grazie a una intuizione di Francesco Carlà e dalla mia abilità di creare videogame in maniera autonoma già dal 1987 quando ancora frequentavo il Liceo. Vi era l’intento di creare una software house con l’obiettivo di realizzare dei videogiochi a livello aziendale e con la costruzione di uno spirito imprenditoriale appropriato per il settore.

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Un giovanissimo Ivan Venturi in una foto della fine degli anni ’80

C’era in lui una forte spinta personale nel tentativo di affermare un altro modo di vedere il mondo, appunto la Simulmondo, dove la creatività messa a frutto nella produzione di videogame potesse essere realizzata con criteri moderni. Con questo spirito iniziò l’avventura Simulmondo, durata almeno un decennio dove trovarono casa decine di collaboratori e dove io stesso mi ritrovai, a soli ventidue anni, a fare il direttore di produzione.

Si trattava di un’industria molto artigianale e di piccole dimensioni. Cosa ricordi con grande piacere di quegli esordi nel mondo della produzione di videogiochi?

Dopo le prime esperienze alla fine degli anni ’80, i momenti che ricordo con maggiore piacere sono quelli compresi tra gli anni 1991 e 1992 quando mi ritrovai a lavorare con personaggi di grandissimo valore come Michele Sanguinetti, Riccardo Cangini e Stefano Balzani. Con loro, sono riuscito a realizzare dei prodotti davvero molto belli da un punto di vista tecnico, per non parlare del backstage fatto di idee, confronto e creatività. Soprattutto dopo aver ottenuto le relative licenze, il pensiero di realizzare Dylan Dog ci esaltò moltissimo in quanto si trattava di lavorare su un personaggio famoso e divertente, a poco più di vent’anni e in una Bologna fenomenale. Fu davvero divertente ma fummo anche estremamente produttivi e, in quegli anni, chi voleva fare dei videogiochi, in molti casi passava dalla Simulmondo.

La Simulmondo ha creato e prodotto per Commodore ’64, Amiga e Atari numerosi videogiochi di successo: da F1 Manager a Italy ’90 soccer fino a passare ai fumetti come Diabolik, Tex Willer e Dylan Dog. Da questo punto di vista, quali sono quelli che ti sono rimasti più nel cuore?

Senza dubbio F1 Manager e Dylan Dog. Il primo fu un videogioco che realizzai interamente da solo nel 1989 e, a testimonianza del suo successo, ricevo a tutt’oggi lettere, messaggi o e-mail di persone che hanno trascorso ore giocando a F1 Manager. Era davvero un gran bel gioco, il migliore che abbia mai realizzato. Come ho già accennato, Dylan Dog mi è rimasto nel cuore perché il progetto era fantastico e avevamo ingenti risorse per realizzare il prodotto. Da un punto di vista creativo poi, a parte alcune limitazioni insite nella licenza di riproduzione, avevamo libertà assoluta di inventare. Fu un periodo davvero esaltante.

Come si è arrivati alla conclusione dell’esperienza Simulmondo?

Diciamo che ci sono state una serie di cause a portare a conclusione l’esperienza della Simulmondo. Ma, forse, il vero motivo della fine fu proprio il suo successo. Con Diabolik e Dylan Dog ottenemmo grandi risultati in termini di vendite ma questo comportò un’accelerazione in termini di realizzazione di nuovi prodotti con un conseguente aumento del carico di lavoro e di stress sull’intera struttura della giovane Simulmondo. Per cui, da una parte, il sovraccarico di produzione e, dall’altro, la non adeguata maturità dell’organizzazione dell’azienda, comportò la sua prematura fine. Già nel gennaio del 1993 cominciarono ad andarsene alcuni collaboratori, poi, nell’aprile dello stesso anno, la struttura perse altri elementi e anch’io me ne andai quella stessa estate. Ci si era ormai avvitati in una dinamica dove la quantità prevaleva sulla qualità e non fummo in grado di adeguarci conseguentemente se pensiamo che, nel momento di massimo fulgore, la Simulmondo aveva ben quaranta collaboratori. In sintesi, la crescita dell’azienda fu probabilmente troppo rapida e impetuosa e non riuscimmo a metabolizzarla nella maniera appropriata.

Non c’è dubbio che l’esperienza in Simulmondo vi ha cambiati come persone, vi ha fatto crescere come professionisti e imprenditori. Quale eredità ha lasciato in te?

È stata un’esperienza formidabile! Io ho iniziato a ideare videogiochi già nel 1985 e ho concluso la mia esperienza in Simulmondo nell’estate del 1993. Sono stati otto anni intensissimi e di grande livello produttivo e posso tranquillamente affermare che tutto ciò ha influito sulla mia formazione personale e professionale. A livello di esperienza aziendale, mi ha dato l’opportunità di comprendere l’organizzazione di una struttura funzionante mentre, a livello professionale, ho approfondito sul campo conoscenze e competenze che avevo iniziato ad apprendere da solo, da perfetto autodidatta. Alla fine dell’esperienza Simulmondo, ero una vera e propria macchina da guerra produttiva con un preciso metodo di lavoro e con la capacità di reggere lo stress delle scadenze.

Secondo te Ivan, come mai esiste ancora tutto questo fascino nei confronti del Commodore ’64?

Semplicemente perché è una bella macchina da gioco e ha caratteristiche che la rendono unica! Ha dei giochi costruiti davvero bene tecnicamente e ideati secondo una precisa logica specie sotto il profilo grafico. Il Commodore 64 aveva il SID (Sound Interface Device), un circuito sonoro fantastico ed era un computer affascinante con il quale programmare.

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Ivan Venturi negli uffici della Simulmondo nei primi anni ’90

Una quantità incredibile di gente è cresciuta con il Commodore 64 e molti di questi sono oggi attivi sui social network per mantenerne in vita l’eredità culturale. E non dimentichiamo che esistono ancora oggi un paio di publisher che continuano a produrre videogiochi per Commodore 64 data la tenace nicchia di appassionati.

Arriviamo all’attualità e parliamo di retrogaming, i videogiochi del passato continuano ad esercitare un grande fascino. Come mai secondo te?

Questi videogiochi seguitano a esercitare una grande attrattiva in quanto erano decisamente coinvolgenti per il pubblico a prescindere dalla situazione o dagli strumenti in cui venivano prodotti. A tutt’oggi, molte persone prediligono ancora giocare con piattaforme datate perché continuano ad apprezzare determinate caratteristiche dei vecchi videogame. Non dimentichiamo anche un dato sentimentale in quanto molta gente è letteralmente cresciuta davanti a questi computer e a questi software.

Come vedi lo stato dell’arte dei videogiochi in Italia? Sarebbe ancora possibile costruire un’epopea tipo Simulmondo oggi?

Non credo sia possibile replicare al giorno d’oggi l’esperienza della Simulmondo. Attualmente, ci sono troppe produzioni e troppo personale preparato con un livello qualitativo altissimo mentre, alla fine degli anni ’80, era realmente possibile un certo grado di amatorialità nella creazione e realizzazione di videogiochi. Aggiungo che stiamo vivendo un periodo davvero fantastico per quanto riguarda il videogioco italiano sia per la maturità del mercato interno e sia per la professionalità degli addetti ai lavori.  Se pensiamo che in Italia, solamente cinque anni fa, vi erano pochissime realtà che partecipavano alle Fiere internazionali mentre oggi sono centinaia gli operatori del settore presenti con un’età media davvero bassa. Non è un caso che la rivista Develop ha sottolineato come nel nostro Paese si stia vivendo una sorta di “rinascimento del videogioco” grazie a notevoli capacità e competenze all’avanguardia.

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