Forse dovrei dire “protagonisti” italiani della spezia, persone che hanno dedicato la loro vita alla coltivazione e alla “cultura” dello zafferano. Ve ne voglio parlare riprendendo il mio lavoro sullo zafferano che è diventato il libro Lo zafferano migliore del mondo, in distribuzione su Amazon e prenotabile da Feltrinelli. Permettetemi di includere tra i “protagonisti” italiani dello zafferano anche colui che, pur essendo il più citato, probabilmente non è un personaggio reale, o almeno non è del tutto reale ciò per cui è citato: parlo di Padre Domenico Santucci, originario di Navelli (in provincia dell’Aquila).
Padre Domenico Santucci e la romantica storia del trafugatore di bulbi di zafferano
Non tutti i ricercatori sono sicuri del nome (e neppure della sua reale esistenza), secondo le ultime ricerche il nome Domenico deriva dalla qualifica di padre Domenicano. Altra cosa è la sua qualifica di membro del Tribunale dell’Inquisizione. La Santa Inquisizione, come ho già avuto occasione di ricordare, inizia con la riconquista della Spagna da parte di Isabella di Castiglia nel 1471. Vero è che i primi inquisitori nominati dal Papa erano domenicani ma, prima della Santa Inquisizione c’era stata l’Inquisizione medievale e l’Inquisizione vescovile. Meno vera è l’affermazione che sia stato Padre Domenico Santucci a portare a Navelli i bulbi che servirono per iniziare la coltivazione dello zafferano in Abruzzo. La romantica storia del trafugatore di bulbi ricorda Prometeo che dona il fuoco agli uomini, oppure i monaci che portarono dalla Cina i bachi da seta; il problema è che per ottenere un chilo di zafferano occorreva (e occorre ancora oggi secondo Luciano Di Francesco) una tonnellata di bulbi. La storia racconta di leggi spagnole protezionistiche per evitare l’esportazione dei bulbi, lasciarne passare alla frontiera una tonnellata mi pare improbabile.
Gina Sarra, la salvatrice della produzione di zafferano dell’Aquila
Nel nostro periodo storico fu Giovannina Sarra (per tutti Gina) a salvare la produzione di zafferano dell’Aquila; fu lei infatti, insieme con suo fratello Silvio, a fondare, nel 1971 a Civitaretenga, il Consorzio tra i Produttori di Zafferano nella zona di Navelli. Nonostante ciò, nel 1980 erano rimasti in magazzino solo pochi quintali di bulbi, i produttori aquilani si erano arresi all’arrivo di zafferano a basso costo dall’estero. Produrre zafferano non era più conveniente, il mercato era orientato verso prodotti di bassa qualità, ma Gina e Silvio per rilanciare la coltivazione andarono in televisione nella trasmissione di Enzo Tortora, Portobello, a vender bulbi e soprattutto a far conoscere il prodotto agli italiani. Coinvolsero nella loro crociata anche Gualtiero Marchesi, lo chef riconosciuto internazionalmente come il fondatore della nuova cucina italiana di qualità. Grazie a questo lavoro i bulbi vennero impiantati e non divennero, come gli altri, alimento per maiali e pecore. Oggi Gina Sarra non c’è più ma a Civitaretenga è rimasto il suo lavoro e la sua energia che ha fatto tornare la passione per lo zafferano di qualità e ha portato allo zafferano dell’Aquila, e non solo a quello della zona di Navelli, il riconoscimento DOP della Comunità Europea. In Sardegna furono i Fenici a portare i bulbi del Crocus, assieme alle tecniche di coltivazione e alla cultura sullo zafferano.
Lo zafferano di Sardegna
Successivamente i Romani continuarono a produrre lo zafferano nell’isola, come è dimostrato da antiche iscrizioni funebri trovate nel cagliaritano. Le caratteristiche orografiche dell’isola, assieme a quelle geologiche e meteorologiche, sono risultate eccezionali per la qualità dello zafferano sardo. In Sardegna la coltivazione del Crocus sativus, la sfioratura, lucidatura e tostatura degli stigmi, sono il frutto di tradizioni locali, diverse rispetto a quelle della Penisola italiana, come è possibile leggere sui capitolati del DOP dello Zafferano di Sardegna. Tuttavia anche in Sardegna c’è una figura storica rappresentativa del lavoro dei produttori sardi del 1900. La figura storica dello zafferano di Sardegna è una signora sangavinese, Renata Senis di 90 anni, ancora viva e attiva, che può essere considerata la corrispettiva dell’abruzzese Gina Sarra. La signora Renata appartiene a una famiglia storica di produttori, che negli anni del secondo dopoguerra (‘49-‘50) è arrivata ad una produzione annuale di oltre 10 kg di zafferano. È lei l’immagine e la memoria legata alla produzione di zafferano di San Gavino Monreale: anche lei più volte intervistata nella trasmissione Geo e Geo ha pubblicizzato e fatto conoscere lo zafferano di Sardegna in televisione.
Per la sua importanza economica la coltivazione dello zafferano in Sardegna ha fortemente condizionato lo sviluppo sociale dei paesi interessati. Rispetto alla crisi che la produzione di zafferano ha patito nel Continente, in Sardegna le cose sono andate un poco meglio anche per motivi antropologici. La cultura e la coltivazione della spezia era intimamente legata alle famiglie dei produttori che l’hanno protetta e tramandata, come ha ben dimostrato la tesi della dottoressa Anna Melas. Come ho già avuto occasione di dire, nel mondo dello zafferano il cognome Melas è molto importante, soprattutto per lo studio e la pubblicizzazione delle caratteristiche e della qualità dello zafferano sardo, ma anche più in generale dello zafferano italiano. Francesco Melas (Franco come lo chiamano tutti), il padre di Anna, è sicuramente l’ambasciatore dello zafferano di San Gavino Monreale, il più antico dei tre siti previsti per la produzione dello zafferano di Sardegna DOP. È lui che ha organizzato e organizza corsi di formazione per produttori, ma ha anche promosso studi e ricerche sullo zafferano di San Gavino Monreale presso Università italiane e straniere. Per tutto questo nel 2014 gli è stato conferito il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana. Ma a farlo amare dai produttori italiani, che lo considerano il loro guru, è la sua disponibilità, la sua cultura e il suo amore per lo zafferano. Franco ha realizzato una specie di blog di sostegno tra i coltivatori in cui tutti possono trovare le risposte ai loro problemi e informazioni utili per la cura, la coltivazione, la produzione e la commercializzazione della spezia.
Ho potuto verificare di persona la gentilezza e la disponibilità del professor Melas. A questi pochi che ho nominato vorrei aggiungere le migliaia di famiglie di coltivatori italiani di Crocus sativus. È grazie a loro, al sistema di coltivazione rigorosamente biologico, previsto dai capitolati di produzione, che in Italia sono state conservate e a volte riscoperte tradizioni locali e meraviglie paesaggistiche che rendono il nostro Paese unico per la sua bellezza e per la sua biodiversità. Grazie alla totale messa al bando dei pesticidi e all’avvicendamento delle coltivazioni, solo facendo riferimento agli insetti impollinatori, in Italia ci sono oltre 400 specie, mentre in alcuni Paesi europei ne sono rimaste solo una decina. Anche queste migliaia di famiglie di “appassionati” coltivatori sono a mio parere da considerare degli eroi in prima fila a tutela della grande qualità dei prodotti italiani. Proprio per questo, per ringraziarli del loro impegno e del loro amore per il territorio, dobbiamo sostenerli acquistando i loro prodotti.
Articolo molto bello e personalmente coinvolgente.
Preconizza un libro da possedere e custodire con cura.
Ci sono citato e , pur imbarazzato, ne sono lusingato ( appartengo alla specie umana ! ).