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Le luci della centrale elettrica sbarcano sulla “Terra”

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luci della centrale elettrica terra

Il 3 marzo è uscito Terra, il nuovo album di le luci della centrale elettrica, progetto musicale di Vasco Brondi, dopo due anni dall’ultimo lavoro Costellazioni. E dal cielo e le stelle, lo sguardo di Brondi si sposta verso il basso e cioè alla terra, al deserto, alla pietra. O forse solo in apparenza. Se prima l’orizzonte era aperto tra nebulose interspaziali, sistemi solari e le dinamiche interpersonali tra gli individui, i rapporti a due e l’esistenzialismo del sentirsi parte di una generazione incompiuta, ora c’è uno sguardo particolare verso la terra dove viviamo, moriamo, amiamo e soffriamo e dove, tuttavia, le dinamiche si aprono a un più vasto panorama di rapporti, di problematiche che affliggono non solo la generazione in cui Vasco si riconosce, ma un po’ tutti coloro che si trovano a vivere in questo 2017.

Terra, suggestioni etniche vestite di nuovo

Appena parte la prima traccia, A forma di fulmine e comincia il cantato colpisce il senso di apertura che ci viene trasmesso sia dalla musica che dal testo, come se Brondi ci dicesse che è tutta una possibilità. C’ è come un senso di arresa speranza, come quando si fa un lungo viaggio e non si sa dove si arriva, o dove si vorrebbe arrivare. Ma questo lavoro è proprio un diario di bordo, l’appunto di un viaggio tanto che l’album, al suo interno, contiene un libretto, un piccolo accompagnamento leggibile di quello che è stato il cammino per raggiungere la realizzazione di questo lavoro tra studi di registrazione ed esotiche mete padane.

Le Luci della Centrale Elettrica suoni caldi e colori pastosi

Insomma c’è qualcosa di diverso in quest’album e lo si intravede anche nella copertina che ritrae un’installazione di land-art di Ugo Rodinone: dei massi colorati, sovrapposti verticalmente come dei totem di una religione ultra-pop, nel deserto del Nevada e che sembrano dirci che l’uomo è stato anche qui, non c’è scampo ed è bellissimo. E questo non esserci scampo per l’uomo e nell’uomo esce fuori completamente nel modo in cui Brondi ci ricorda che siamo stati capaci di scrivere le più belle canzoni d’amore e allo stesso tempo creare “cose” come la bomba nucleare. Il paradosso dell’uomo e della globalizzazione vengono raccontati in Coprifuoco e in Stelle marine. Qualcosa è cambiato e lo si capisce subito appena inizia l’ascolto dell’album: i suoni, la voce, tutto ci dice che è qualcos’altro. I ritmi etnici ci ricordano l’ Asia o l’ Africa a volte, sono accattivanti, un ventre morbido che ci accoglie. I suoni sono più articolati, l’idea è che sia un vero complesso a suonare, la voce canta non parla, le sonorità estive ci fanno immaginare che tutto andrà per il meglio.Quando parte Qui quasi non credevo di star ascoltando le luci della Centrale Elettrica. Tutto porta verso l’alto, tutto ci porta fuori, lontano (ehi aspettate un attimo!) forse no, mi ricredo è Brondi che parla, si riconosce. Ascoltando bene, però, si nota quanto ancora l’animo di Brondi sia puntato verso l’iperspazio, quanto tenti di fornirci immagini da un punto di vista extra-terrestre, extra-ordinario o semplicemente ribaltando le situazioni: “Gli scafisti – dice Brondi – si orientano con le stelle”, romantica constatazione di una situazione tragica che viene descritta nella quinta traccia dell’album Il waltz degli scafisti. Interessante contrasto quello proposto tra testo e musica in profondo veneto che ci racconta la depressione di una ragazza che lascia le speranze di cambiare vita per tornarsene nella sua provincia (“non lo diremo a nessuno, non ti preoccupare”) mentre la musica ci porta dritti in Africa, con cori luminosi e una sezione ritmica prorompente. Qualcosa che ci ricorda il Brondi di qualche tempo fa è in Iperconnessi, per quanto le sonorità si mescolino in un etno-elettronico ipnotico ma è quell’ipnotico che tanto ci piace delle luci della Centrale Elettrica. “Moltitudine o solitudine?” si chiede Brondi. Ci lascia con questa domanda e ci risponde Chakra, delicata canzone d’amore, che riporta tutto a una dimensione più personale, un amore in cui tutti possono riconoscersi. Vita e morte si incrociano in Moscerini, siamo così piccoli ma come possiamo parlare di qualcosa tanto più grande di noi? Ci sento i Pgr di Per grazia ricevuta, un impulso di immaginario, onirico, lo sento soprattutto nella traccia conclusiva che con i suoni ci fa fantasticare di caldo, sudore e Sud America. Sì, questo è un album caldo con dei suoni pieni, da riempirti la testa. Ammetto che ho sentito la necessità di riascoltarlo più volte e con attenzione, non me lo aspettavo. Un album estivo, lo definirei quasi felice, per quanto sia possibile accostare il concetto di felicità alla presa di coscienza che Brondi impone: “Allegri e disperati, nei secoli dei secoli”.

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