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Quale pensione ci attende in vista del futuro?

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anziani che camminano e monete

Nessuno ormai mette più in dubbio la drammaticità dei numeri: gli esperti e i politici, i  media e i professori. E lo stesso Inps ormai lo ammette candidamente. Tutti ne sono consapevoli e tutti guardano spaventati al domani sapendo perfettamente che la nostra pensione futura, qualora l’età sia clemente e ci sorregga per goderne i frutti, sarà maledettamente bassa.

A che punto siamo?

Negli ultimi tempi, più di qualcuno, con molto coraggio, si è cimentato a fare due conti restando sveglio per delle notti, qualcuno si è fidato della “busta arancione” inviata dall’Inps con la simulazione pensionistica e ora soffre di insonnia, qualcun altro ha semplicemente deciso di non voler conoscere nulla per non morire prima del tempo, e tutti, nel profondo dell’animo, auspicano che improvvisamente emerga una soluzione miracolosa che risolva il problema. I conti pubblicati sono purtroppo impietosi e vergognosamente reali: si passa dai free-lance della Gestione Separata che possono arrivare a una pensione mensile di circa 450 euro, ai psicologi con la loro cassa professionale che sfioreranno  circa 250 euro mese dopo circa venticinque anni di attività, ai lavoratori dipendenti che hanno donato all’Inps circa il 33% del loro stipendio e che supereranno  appena i 1000 euro, alle badanti che non avranno nemmeno i soldi indispensabili per tornarsene a casa. Insomma, i numeri parlano chiaro e sono terribili: si riceverà di media 1/3 di quello che si sarà versato nel tempo, 1/3 dei contributi realmente corrisposti negli anni di vita lavorativa, spalmato sulla speranza di vita, e comunque non prima dei 70 anni. Praticamente niente! E questo perché il sistema contributivo in vigore dal 1 gennaio 1996 è impietoso: si tiene conto di tutto quello versato e, anno per anno, si rivaluta la somma per poi applicare al momento dell’età pensionabile un coefficiente legato all’aspettativa di vita (una percentuale tra il 5 e 7% del montante accumulato in relazione all’età) e, come per magia, ecco la pensione! Questo è il sistema contributivo in vigore, che non fa sconti; un sistema che ha cambiato le prospettive future e che ha dichiarato estinto il vecchio Welfare.

pensione

Non basta pensare di risolvere la questione invitando i lavoratori semplicemente a versare più soldi come da molte parti si indica, non basta perché se chi gestisce i tuoi soldi non li alimenta, non li fa fruttare e li usa solo per pagare i pensionati di oggi e di ieri, compresi  quelli d’oro o i baby pensionati (ce ne sono ancora ben 530.000) a cosa serve mettere più soldi nel pozzo senza fondo  dell’INPS? I nostri soldi perdono così solo valore invece di acquistarlo e, nell’arco di trent’anni, questo fa una grande differenza. In effetti è palese che se l’INPS non è in grado di far crescere i tuoi soldi  rivalutandoli adeguatamente (il calcolo si basa sulla media degli ultimi cinque anni del tasso PIL e visti gli anni bui in tal senso è facile comprendere l’iniquità della rivalutazione) è evidente che c’è poco da stare allegri quando si richiederanno indietro sotto forma di pensione. Chi mai metterebbe spontaneamente i propri soldi in titoli o depositi che non ti forniscono un minimo di interesse? E poi versare di più ha certamente una logica ma il problema è quanto di più? Non dimentichiamo che versare di più vuol dire ridurre il proprio reddito già esiguo, vuol dire strozzare i lavoratori e le aziende considerando che, attualmente, versano in totale il 33% per la previdenza e che la gestione separata, ad esempio, nata nel 1996 è partita con un’aliquota minima del 10% per arrivare al 28,72% nel 2016. E allora, quanto si può chiedere di più allora? Quanto dobbiamo pagare, si chiedono i giovani d’oggi, per mantenere i privilegi e i diritti acquisiti? Quanto dobbiamo pagare per mantenere pensioni del tutto fuori dai parametri attuali calcolate con sistemi assurdi e fuori da qualsiasi logica economica? Quanto ci costa il sistema pensato per un paese di vecchi? Quanto costa al giovane mantenere un sistema frutto di scelleratezza e che appartiene a una era storica sepolta? Sulla pensione si sono riversate tutte le follie e contraddizioni di questo Paese; si sono azzuffati per accaparrarsi tutti un pezzo di presente a discapito del futuro; sono state alimentate le più assurde storture e iniquità, sono state emanate e applicate con il beneplacito di tutti (politici, sindacati, società civile ecc…) le norme più incredibili che, ancora oggi, ci si stupisce e ci si chiede come e perché tutto questo sia stato possibile; sono stati creati Enti ognuno con un proprio “orticello pensionistico” (fondo volo, elettrici, dirigenti, spettacolo, pubblici ecc…) e così nel corso degli anni i diritti sono diventati semplicemente sfregi e privilegi agli occhi delle nuove generazioni. I padri, purtroppo, si sono mangiati di fatto il futuro dei figli e lo hanno fatto senza battere ciglio C’è poi un aspetto morale che, nei numeri, tutti abbiamo smarrito: lasciare in eredità ai figli i propri debiti è qualcosa che può rasentare lo scontro generazionale in maniera drammatica, un’eredità a cui i figli chiaramente non possono rinunciare.

Pensione, vi sono nuove strade percorribili?

A settembre scorso Tito Boeri, il presidente dell’Inps, con il suo solito charme dichiarò che i giovani nati negli anni ‘80 non potranno aspettarsi molto dalla pensione e di certo non prima dei settantacinque anni; pertanto o i giovani diventeranno tutti dei Matusalemme oppure bisognerà pensare a qualche nuova soluzione e bisognerà farlo in fretta. Soluzioni che non possono essere né l’Ape e né la Rita (nuove astrusi anacronismi per indicare delle possibilità di andare in pensione qualche anno prima dell’età prevista con particolari requisiti) che partiranno a maggio prossimo, né pensare di aumentare a dismisura le aliquote contributive. Il problema forse è da ricercare in una pensione minima garantita per tutti, una quota fissa da aggiungere a quella che verrà fuori dai conteggi Inps; oppure percorrere con forza la strada per cercare di alimentare la previdenza alternativa ma per farlo si dovrà scegliere una nuova e difficile visione ossia quella di  ridurre le aliquote lasciando più soldi nelle tasche dei lavoratori invitandoli con agevolazioni consistenti (deduzione intera fiscale ecc…) al versamento su fondi pensionistici privati. C’è quindi da pensare a una vera e propria rivoluzione culturale: alla pensione non dovrà pensare più lo Stato ma dovrà pensarci lo stesso lavoratore. Forse può sembrare una soluzione troppo violenta ma probabilmente è l’unica con un po’ di buon senso. Liberare soldi togliendoli dalla grinfie dell’INPS (pensiamo ad una aliquota fissa non superiore al 12-14%) sembra essere l’unica strada percorribile per i lavoratori eppure è la più difficile per lo Stato: come coprire la spesa delle pensioni attuali?  Come pagare i pensionati d’oggi? Dove trovare le risorse?

2030, l’anno della verità

Molti esperti ormai hanno individuato nel 2030 l’anno cruciale per l’INPS. Per molti esperti, sarà quello il vero momento drammatico. Addirittura si parla dell’anno in cui si deciderà la vita o la morte dell’istituto. In quell’anno, infatti, andranno in pensione un numero altissimo di cittadini, quelli nati nei primi anni ‘60, i figli del boom economico, quelli nati fra Gagarin e Kennedy e a loro si aggiungeranno un numero massiccio di immigrati di prima generazione che nel frattempo avranno maturato il diritto. Nel frattempo, si prevede una diminuzione dei lavoratori attivi e sarà sempre più alta l’aspettativa di vita dei pensionati e, con tutta probabilità, la natalità sarà ai minimi termini. Insomma nel 2030 si decideranno le sorti pensionistiche del Paese. Saremo pronti per quella data? E nel frattempo cosa faremo per i nostri figli? Forse ci conviene davvero cercare fortuna soltanto nei “gratta e vinci”?

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