Home Scienza e Tecnologia La citizen science contribuisce ad allungare la nostra vita!

La citizen science contribuisce ad allungare la nostra vita!

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Quando ho chiesto a mia moglie se la citizen science è per tutti mi ha risposto con un’occhiataccia. Allora ho provato a parlare della “casalinga di Voghera” e questo ha peggiorato il suo umore. Con pazienza, mi ha spiegato che, tra le sue amiche sui social, usare l’espressione “casalinga di Voghera” per indicare una persona comune verrebbe vissuto come un’offesa. Avevo in mente di avvicinare a tutti la citizen science ma, a quanto pare, già il nome  è ostile per parecchia gente e allora penso sia bene stabilire almeno di cosa stiamo parlando. Insomma è possibile che, anche in Italia, prenda piede la citizen science? Cosa è possibile fare per svilupparne la diffusione?

Cos’è la citizen science?

È uscito ad agosto 2016 il libro del professor Pierangelo Crucitti: “Strategie per la conservazione della biodiversità che definisce la citizen science: […] “partecipazione attiva del pubblico alla ricerca scientifica”. Si tratta di una collaborazione volontaria finalizzata alla raccolta e analisi dei dati, sviluppo di conoscenze e ampliamento degli orizzonti applicativi delle scienze così come sono stati concepiti fino a circa un decennio fa. […] (un) cambiamento di paradigma, che porta la ricerca scientifica da appannaggio di soli esperti a fattore di inclusione e partecipazione, in ultima analisi di “democratizzazione” delle conoscenze a vantaggio della popolazione […]”. È una definizione precisa, nata dalla continua frequentazione del professore con la scienza: Pierangelo Crucitti è il presidente della Società Romana di Scienze Naturali che, nel 2017, festeggia il cinquantesimo anno di attività. Personalmente potrei spiegare la citizen science ricordando che, per studiare i fenomeni scientifici (ma anche più semplicemente l’ambiente), occorre raccogliere dei dati e possibilmente dei dati omogenei, ossia raccolti con la stessa metodologia e quindi confrontabili tra loro. Il problema è che non ci sono mai soldi a sufficienza per organizzare e retribuire chi raccoglie “tutti” i dati che servono. Ho messo tra virgolette “tutti” perché i dati della citizen science possono essere raccolti nell’ambito di una ricerca o di un progetto, o più semplicemente raccolti per il piacere di farlo, ad esempio: la raccolta e la conservazione delle informazioni legate alla temperatura, alla pioggia, al vento, e all’umidità sul nostro terrazzo, informazioni che serviranno se collegate ad altre omogenee  in futuri progetti, permettendo delle previsioni meteorologiche molto più accurate.

Citizen science, alcuni precedenti

Questa raccolta scrupolosa era già presente in discipline non legate all’ambiente: negli anni ’70 gli antropologi cercavano nelle periferie delle grandi città di raccogliere le antiche canzoni, i dialetti, i modi di dire e le filastrocche, in breve il sapere popolare portato dai nonni che dai paesi di origine avevano raggiunto i figli e i nipoti. Cosa cambia tra le informazioni contenute nei Diari di campagna di una signora inglese del primo novecento (edito da Mondadori) oppure nel  volume scritto dal cugino di mia madre nel 1986, ed edito dalla provincia di Parma, Erbe e fiori della Bassa e la moderna citizen science? Intanto la giovane signora, Hedit Holden, che nel 1906 aveva circa diciannove anni non era in grado di usare una macchina fotografica e neppure la macchina da scrivere, disegnava quel che vedeva  e annotava tutto a mano, sempre sul suo diario, giorno per giorno le fioriture, ma anche le leggende locali. Permettetemi di riportarne una che vi farà sorridere, collegata al ventiquattro giugno, il giorno di San Giovanni, scrive la Holden: “C’è un’antica superstizione riguardo al canto del Cuculo, nel sud dell’Inghilterra. Se quando odi il Cuculo ti metti a correre contando i suoi richiami e continui a correre finché non lo odi più, aggiungerai tanti anni alla tua vita quanti richiami del Cuculo avrai contato: almeno così dicono le donne nel Devonshire”. Il mio parente laureato in scienze naturali nell’Università di Parma nel 1940 e poi insegnante nelle Scuole Superiori, di fatto scrive un trattatello di botanica ma non definisce in modo riconoscibile i luoghi di raccolta dei campioni. Parla delle esigenze delle piante descritte e abbozza uno schema scientifico: per ogni essenza descritta dà il nome comune, ma anche il nome dialettale seguito dal nome botanico e dalle osservazioni sul fiore, la foglia, il frutto, dove cresce, usi e curiosità. Di fatto non offre neppure le informazioni legate al periodo di fioritura (in quei luoghi). In compenso il mio parente si lamenta dei costi sostenuti per le centinaia di foto fatte e stampate, ma le sue foto non hanno riferimenti metrici e quindi oggi diremmo che sono soprattutto artistiche, anche se in quegli anni era quanto di meglio potesse fare. Oggi abbiamo il GPS e la fotocamera a colori integrata nei telefonini. Possiamo permetterci di scattare decine di immagini, magari inserendo una moneta o un righello per far comprendere le dimensioni. Le localizzazioni sono così precise da permetterci di seguire anno dopo anno lo sviluppo della pianta o della colonia di animali presenti. Le immagini raccolte possono essere ingrandite o rimpicciolite a piacere, permettendoci di riconoscere le differenze sessuali o le specifiche legate ad adattamenti locali.

La situazione al giorno d’oggi

Oggi la tecnologia è realmente a portata di tutti ed allora sarebbe criminale non usarla per definire una particolare zona e le nostre osservazioni. Più dati riusciremo a raccogliere e meglio sarà. La Senatrice Monica Cirinnà ci ha raccontato che, anche lei, partecipa alla citizen science: fotografa tutte le Testudo (tartarughe di terra) che trova nel suo bosco a Capalbio, sia sopra (il carapace) che sotto (il piastrone) ed anche tenendole in mano. Poi invia le foto ad un suo amico che collabora ad un censimento organizzato dall’Università di Firenze, il quale, tramite le dimensioni della mano della Cirinnà e alle sue osservazioni (data dell’immagine e peso approssimativo dell’esemplare), è in grado di censire le tribù in modo abbastanza rigoroso. Anche io e Ornella raccogliamo dati in modo simile ma ci portiamo anche una bilancia digitale, un recipiente, un calibro, un pennarello indelebile e un piccolo microscopio ma, alla fine, i nostri risultati sono confrontabili con quelli della Cirinnà e possono essere usati dalla comunità scientifica. Pensate quanto possono fare le associazioni o addirittura i semplici cittadini grazie ad un minimo di organizzazione. Se vi piace fotografare fatelo inserendo  la data e il luogo nei dati dell’immagine e poi utilizzate sempre dei riferimenti da cui si possa risalire alle dimensioni degli esemplari fotografati, ed eccovi trasformati in ricercatori attivi, possibili sentinelle dell’ambiente. Vi pare poco?

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Dopo aver chiuso alcune delle mie vite precedenti, quella sindacale (da Presidente FIARC Confesercenti a Roma), quella politica (membro effettivo Commissione Centrale Ruoli presso il Ministero del Lavoro), quella da redattore e autore nel mondo della carta stampata (Acquari & Natura, L’acquario ideale, Le mie prime venti Aloe, Piante Grasse), quella da tecnologo nell’elettronica industriale, quella da segretario nazionale dell’Associazione Italiana Amatori delle piante Succulente (AIAS), quella da libraio (Einaudi) a San Lorenzo a Roma, quella di formatore e consulente (master PNL), finalmente da alcuni anni posso dedicarmi alle mie passioni: lo studio e il restauro di orologi antichi (con lavori citati anche in Wikipedia), l’allevamento e lo studio di tartarughe terrestri, la coltivazione di qualche centinaio di piante, la partecipazione alle attività di associazioni naturaliste scientifiche (ERPISA, bibliotecario SRSN), l’alfabetizzazione del WEB con la lotta alle bufale e alle “credenze” prive di ogni fondamento che imperversano in rete, oltre allo studio e alla diffusione della cultura ambientale. luciano@einaudiroma.it

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