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Fa’ la cosa giusta 2017, la fiera del consumo critico

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fa' la cosa giusta banchetto

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la cronaca di una giornata trascorsa a Fa’ la cosa giusta 2017 da parte di Roberta Seclì Nicoletti.

Ore 11. L’ingresso a Fa’ la cosa giusta

Dal livello della strada, a cui giungo dai sotterranei della metro, un’ordinata scala a chiocciola di gente colorata fra i venti e i cinquant’anni (abbondante infanzia a parte) aspetta di entrare, come me, a Fa’ la cosa giusta 2017, la Fiera del commercio equo e solidale, del biologico, del riciclo, del consumo critico e degli stili di vita alternativi più grande d’Italia. Due padiglioni che, alla tarda ora in cui mi concedo di arrivare, emettono un emozionante profumo di pasta al forno della nonna. È quasi ora di pranzo ed è sempre ora dell’assaggio, ma in particolare è l’ora dello show-cooking e ho la fortuna di assistere a una dimostrazione sulle piante spontanee in cucina, presentate da Annalisa Malerba (cognome vero!), vegan chef contadina, come ama definirsi. Fortunatamente riesco anche a intercettare una porzione della sua creazione di oggi: un antipasto composto di insalata di radicchio rosa con foglie di tarassaco essiccate, polenta taragna con paté di papavero selvatico e fagioli, salsina di capperi e bucce d’arancia assieme a un pesto essiccato alle spezie (e ad altre meraviglie che non ricordo). Per i presenti, muniti di rari manuali di botanica e permacultura forniti dalla Malerba, è un’occasione per connettersi con gli aspetti più bistrattati della campagna, allontanandosi un po’ dall’aria respingente di certi chef che si prendono troppo sul serio e magari abbinano alimenti in modo improbabile. Poco prima dello show-cooking selvatico mi è capitato di assaggiare del discutibile tempeh al cioccolato fondente. Questione di gusti!

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Lascio la dimostrazione della Malerba per tuffarmi nel mare degli stand vicini di Fa’ la cosa giusta. C’è l’imbarazzo della scelta di “cose buone e giuste” e, in particolare, mi colpisce la grande area dedicata ai temi dell’empowerment femminile, con un evidente cartello sulle eco-mestruazioni (di cui coppette e assorbenti lavabili sono i principali protagonisti), uno stand doppio a labirinto con esaustiva esposizione di vibratori, palline per la tonificazione del pavimento pelvico e altre chicche per il piacere ecosostenibile; accanto al merchandising, un’associazione toscana di ostetriche lancia le parole “il mio perineo” tra i fiumi di gente incuriosita, già dotata di piatto pieno; si respira aria di sex positivity e di benessere diffuso da operatrici esperte.

Ore 15. La Fiera è al piano di sopra!fa la cosa giusta

Ma la Fiera è sopra, tutto artigianato, abbigliamento, cosmetica e detergenza che, in qualche modo, si inseriscono in un discorso etico. Anche fuori da Piazza Vegan, l’area dedicata al cibo vegetale, abbondano prodotti senza crudeltà (dalle scarpe al vino, per finire alle creme per il corpo), manufatti realizzati con materiali di riciclo (in particolare, sembra che gli ex cartelloni pubblicitari in PVC vadano a ruba nell’universo artigiano), ausili alla mobilità sostenibile e alla casa ecologica (ogni tipo di bicicletta e di accessori, servizi per auto ad alimentazione alternativa, progetti di cappotti per case passive); si presentano nuove materie prime dal ciclo di vita chiuso (pasta e prodotti da forno al bambù, terracotta prodotta a partire da deiezioni bovine, matite che, una volta esaurite, possono dar vita a un albero); si propongono spunti editoriali in ogni possibile direzione eticamente positiva. Mi fermo con molto interesse davanti ad una conferenza sul “Manifesto della comunicazione non violenta” che mi rapisce per un’ora.

Ugualmente mi fa la cosa giustaincanto a sentir parlare un volontario della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale, un museo del diario che conserva migliaia di memorie di cittadini privati, raccolte fin dal 1983, accanto a Crowdbooks, editore di libri e documentari su percorsi di vita alternativi.

 

 

Recuperare elementi di felicità minimale

Cura particolare è dedicata alla presenza infantile: lo stand all’ingresso consente di noleggiare gratuitamente una fascia per “indossare” le piccole e i piccoli durante la fiera, mentre ampi spazi di gioco terra-terra seguono a ruota (spiccano una minuscola falegnameria invasa dai trucioli e un grande campionato di trottole). Un rassicurante parcheggio per piccole pesti, a pensar male; un bel modo per ricordarci dell’importanza dell’infanzia “positiva” nella mia mente ottimista. Un momento per riflettere quindi sull’importanza della dimensione del gioco recuperando elementi di felicità minimale. Come il profumo del legno.

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E dopo gli innumerevoli banchetti di abbigliamento, l’attrazione principale è costituita dai banchetti alimentari (non riesco a non chiedermi quanto sia compatibile l’irresistibile spinta allo shopping con la necessità di diminuire l’impronta ecologica dell’esistenza sul pianeta). Un padiglione su due è dedicato a produttori di tutta Italia (deliziose le chiacchierate sulle varietà locali di mais e riso lombardi, gli abbondanti assaggi di cioccolato alle nocciole umbre, il delizioso pranzo a base di un pot pourri di frutti essiccati dall’Emilia, lo scambio di nomi dialettali di ortaggi con i produttori di conserve salentine) e alle nuove prospettive dell’agricoltura italiana di qualità: il recupero di antiche sementi dimenticate e la promessa della canapa, presente nella pasta, nei secondi vegetali, nella carta e nei tessuti di una decina di stand. Del resto l’Italia, negli anni ’30, era il secondo produttore mondiale di canapa dopo l’Unione Sovietica. Peccato che, accanto a queste promesse della biodiversità, si insinua l’idea  secondo cui tutto possa diventare “eco-bio”: il banco-griglieria mi pare personalmente fuori luogo poiché riproduce un’atmosfera da stadio post-derby del tutto estranea all’ambiente. L’angolo Slow Meat di Slow Food demonizza gli allevamenti intensivi ma personalmente mi pare santificare un po’ troppo quelli piccoli, da loro presidiati, il che non rientra esattamente nell’esortazione, a mo’ di comandamento, che dà il titolo alla fiera. Lo stesso vale per i formaggi e i cosmetici a base di latte d’asina (che fine fanno i neonati vitelli e asinelli che dovrebbero bere quel latte?) o di bava di lumaca (nutro perplessità sul loro trattamento) o, ancora, per i gioielli fatti di pelle di pesce (personalmente non sentivo la mancanza di una nuova scusa per catturare e uccidere animali senza necessità).

fa la cosa giustaOre 19,30. Cosa mi resta di Fa’ la cosa giusta?

Per fare la cosa giusta bisogna essere curiose, informarsi e studiare, porre domande a chi ci vende il pane e il superfluo quotidiano e, soprattutto, scovare e supportare le filiere virtuose che fanno alleggerire il carico ecologico su di un pianeta già bistrattato in modo intollerabile (minimali, ma ben fatte e decisamente utili sono le mostre sul commercio equo e solidale e sull’olio di palma). Tutto ciò non solo perché lo dobbiamo al resto dell’esistente, ma per stare bene tra di noi; offrire rispetto per ottenere rispetto, regalare benessere per ritrovarne altrettanto. Mettere in pratica un percorso fatto di abitudini etiche è ancora un atto volontario e talvolta considerato naif, ma è dimostrato che la consapevolezza aumenta di volume giorno dopo giorno. In questo percorso il cambio di paradigma passa per un drastico, inevitabile cambiamento della nostra routine. Non sarà giunto il momento di rendere “uncool” lo shopping compulsivo, di avere meno e meglio e di abolire il concetto di “rifiuto”? Penso a quanto cibo si poteva coltivare sui campi di mais divenuto mater-bi, il materiale biodegradabile di cui sono fatte le stoviglie buttate a profusione nei bidoni della fiera. Non si poteva chiedere al pubblico di portare piatto, bicchiere e posate da casa, o venderglielo all’ingresso?

Ore 20. Saluto Fa’ la cosa giusta

È tempo di sbaraccare e i salentini sono tra gli ultimi a sistemare i pacchi e smontare lo stand. I loro discorsi mi sanno di casa e per un attimo vorrei tornare con loro in Puglia. Scendo le scale e torno in metro assieme a dei ciclisti un po’ ubriachi e un gruppo di ventenni che reggono numerose buste. Forse per cambiare bisogna avere anche molta pazienza e nel frattempo continuare a ispirare che ci sta vicino.

Ci sorridiamo.

Buon viaggio!

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