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Archeologia, storia e storie nell’area sacra di Largo Argentina

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Largo Argentina

A Roma c’è un luogo dove storia, storie e archeologia si intrecciano: è come un pozzo tra i palazzi, pieno di colonne, di gatti, di studiosi in lotta con le difficoltà pratiche e con la burocrazia. Per ora manchiamo solo noi, i visitatori, ma l’area è stata messa in sicurezza e solo qualche ostacolo formale ci separa dalla possibilità di scendere tra i resti di quel punto di Roma, incredibilmente denso di reperti. Quella che noi chiamiamo area sacra di Largo Argentina era una zona dell’antica Roma subito fuori dal confine sacro di Roma, il pomerium, dove troviamo tutt’oggi una singolare concentrazione di templi anche molto antichi. Erano in fila, quasi accalcati, e alle loro spalle iniziava il portico adibito a curia del teatro di Pompeo.

I templi più antichi di Roma e le loro storie

Archeologia
Tempio A e Tempio B

Il tempio A, dedicato a Giuturna, ninfa delle fonti, fu fatto costruire da Quinto Lutazio Catulo durante la prima guerra punica. Su di esso venne costruita e poi abbattuta la chiesa di San Nicola de’ Cesarini, della quale restano in piedi due absidi decorate. Di fianco, c’è il tempio rotondo dedicato alla Fortuna di Questo Giorno, detto tempio B e dedicato sempre da un membro della gens Lutatia, in questo caso Quinto, alla buona sorte che gli permise di sconfiggere i Cimbri nella battaglia dei Campi Raudii. Il 30 giugno del 101 a.C. fu il giorno in cui la Fortuna sorrise a Quinto Lutazio Catulo ma questa dea, notoriamente cieca, non si accorse che proprio alle sue spalle si consumò il giorno più sfortunato per Giulio Cesare, visto che i fatti delle idi di marzo si svolsero proprio lì. Il tempio C, dedicato a Feronia, dea sabina della fertilità e delle acque, si alza su un podio altissimo, severo e imponente, e ci riporta all’epoca arcaica di Roma. E anche nella sua storia se ne nasconde un’altra, che unisce i tempi più remoti all’archeologia moderna. Gli scavi sono difficoltosi a causa dell’acqua che invade continuamente il terreno argilloso, segnalando sorgenti profonde quanto i vari livelli di tufo. Questo ci permette di ipotizzare che l’edificazione del tempio risalga all’epoca delle tre tribù che iniziarono Roma: Tites, devoti a Feronia, Ramnes e Luceres. Infine il tempio D, dedicato ai Lari Permarini, è il più grande e solo in parte visibile: l’area esposta risale al I secolo a.C. mentre la parte più antica, dotata di quella compostezza e grandezza tipica della Roma delle origini, si trova sotto il piano stradale.

Archeologia e burocrazia: le grandi nemiche

Ma tutta la zona di Largo Argentina ha una storia da raccontare, legata alla lotta tra archeologia e burocrazia, archeologia e scorrere della storia, archeologia e l’alternarsi dei governi. I templi che oggi vediamo e i porticati di cui resta poco erano stati inglobati dalla città nel corso del Medio Evo, dopo un abbandono progressivo e inesorabile iniziato nel V secolo d.C. Erano stati coperti da case, palazzi e chiese in un’alternanza mai quieta tra stili di vita e di pensiero. Basti pensare che la piazza prende il nome da una torre non più visibile, chiamata “argentina” dal suo proprietario, Johannes Burckard, maestro di cerimonie pontificio venuto da Strasburgo, città che in latino si chiamava Argentoratum. La torre fu mozzata e incorporata in un palazzo nell’Ottocento, ma il suo ricordo resta nel nome del luogo.

L’uomo che salvò Largo Argentina

L’appellativo di “sacra”, invece, lo dobbiamo a Marchetti Longhi, quasi un eroe dell’archeologia perché salvò la zona dal totale sbancamento. Infatti negli anni Venti si era deciso di abbattere tutti gli edifici medievali della “zona Argentina” per far spazio a un lussuoso complesso residenziale. Marchetti Longhi, che era supervisore dei lavori, appena colse l’importanza di ciò che si era trovato sbancando gli edifici medievali si fece in quattro per preservarlo. Scrisse persino al Duce con insistenza e determinazione per riuscire nell’impresa di salvare quella zona così significativa. In nome dell’archeologia combatté una battaglia per nostra fortuna vittoriosa. Oggi quest’area assediata dal traffico e dal cemento racconta storie di antiche divinità, generali vittoriosi, assassinii e trionfi, costruzioni, abbattimenti e archeologi testardi. A vegliare su tutto, come ieratici e affascinanti divinità egiziane, ci sono i gatti di una colonia protetta, che ormai fanno talmente parte del paesaggio da essere considerati silenziosi custodi di quegli antichi monumenti.

 

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