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Appunti di un viaggio in Bangladesh

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dea induista Manasa Bangladesh
Un altare dedicato alla Dea Manasa in un centro religioso in una località agricola

Quando mi sono associato ad una delle più attive società erpetologiche, ERPISA, mi sono ricordato di una metafora formativa che nella cultura e nella religione indù collegava i rettili ad una dea, Manasa, e alla fine al comportamento della moglie “esemplare”. Purtroppo, come spesso succede con le storie che racconto, la trama ha incominciato a complicarsi e a collegarsi con le altre mille storie del Bangladesh. Eravamo in una mostra e c’erano diverse interruzioni, proprio per questo motivo, per dare la possibilità  agli interessati di seguire il filo della storia di Manasa, mi sono offerto di scriverla. Ricordo che il Bangladesh (che vuol dire “paese del golfo del Bengala”) è la “vecchia India”, il luogo dove le divisioni religiose sono l’origine e il risultato di lotte fratricide che ancora oggi sono solo assopite ma non certo terminate.

Il Bangladesh e l’induismo, una premessa storica

Sopportate una premessa storica, politica e religiosa, che vi permetterà di contestualizzare quello che vi racconterò. Intanto il Bangladesh come nazione nasce nel 1972 dopo una sanguinosa guerra di liberazione (quasi quattro milioni di morti). Ma questo evento ha come tutto quello che succede in India un’origine antica che provo a raccontare in pillole: anticamente l’India venne unificata dall’imperatore Asoka, famoso per la sua particolare ferocia e per il suo essere buddista; nel III secolo a.C. Asoka, dopo essersi convertito al buddismo, iniziò una specie di conversione forzata in tutte le provincie del subcontinente indiano, imponendo la sua fede come religione di Stato. Grazie a questo, dopo secoli di scontri, si svilupparono dei centri di potere legati ai traffici e ai commerci con l’Oriente, ma anche con l’Occidente. Dhaka, l’attuale capitale del Bangladesh, ne era uno dei principali e proprio in questi centri, a partire dall’anno 1000 e per tutto il Medioevo si sviluppò dapprima la cultura e poi il potere politico, specialmente sotto la dinastia Moghul. Da Dhaka il Moghul, quello che noi occidentali chiamiamo il “Gran Mogol”, guidava l’intero territorio indiano. Nel frattempo si erano succedute più religioni, dall’originario Induismo al Buddismo (che non considero una religione), all’Islamismo, con scontri e sovrapposizioni che prima che ideologici erano economici e addirittura fisici, a partire dall’antichissimo Induismo dei secoli precedenti. Nel III secolo a.C. ci fu la conversione al buddismo che però non fu così capillare. In pratica a cambiar fede erano soprattutto i signorotti, i capi, che se non si fossero affrettati a convertirsi sarebbero stati immediatamente sostituiti nelle loro cariche da personaggi ossequienti alla religione di Stato. Già fino al 1000 l’Induismo era stato soppiantato dal Buddismo che durò alcuni secoli, poi tornò l’Induismo, poi di nuovo ci furono un paio di secoli di Buddismo e poi di nuovo l’Induismo, solo nell’VIII secolo d.C. incominciò ad infiltrarsi (sempre con metodi non proprio dialettici) l’Islamismo, introdotto prima da pellegrini e poi dall’ XI secolo in avanti da vari condottieri ottomani che convertivano a fil di scimitarra.

Le dominazioni straniere

Le difficoltà di comunicazione e la vastità del territorio, nonostante gli odi e le reciproche diffidenze, permisero una convivenza armata tra le varie religioni; ne approfittarono in epoca moderna gli Inglesi che prima con i mercanti e poi con il loro esercito a protezione dei liberi commerci (i loro) colonizzarono l’intera India. Anche a Salgari era arrivato all’orecchio il disamore che gli indiani avevano per i loro dominatori, chi ha letto le avventure del leggendario Sandokan è al corrente che la “Compagnia delle Indie” aveva la sua sede principale a Dhaka. Il film su Gandhi ha ricordato quanto fu complicato per gli indiani liberarsi dal dominio della Corona Inglese, ed anche come mai l’India uscì divisa in molte nazioni a seconda delle religioni dominanti nei territori. Il Bengala Orientale (Mussulmano per oltre l’80%) fu annesso al Pakistan (ugualmente Mussulmano) diventando il Pakistan Orientale. Tra i due territori l’India (prevalentemente Induista), ai margini la nuova religione dei Sikh (che era sorta nel XIV secolo), che con il suo monoteismo aveva fatto proseliti nelle caste più basse e si era consolidata dall’India settentrionale a tutto il Punjab. Il Buddismo si era rifugiato in Tibet e nel Kasmir, già il monaco cinese Hsüan Tsang (VII secolo) famoso per il suo viaggio di sedici anni in India per raccogliere i Sutra e portare il buddismo in Cina, aveva avuto i suoi problemi a trovare i libri che cercava.

La nascita del Bangladesh 1972

Ma torniamo ai nostri giorni, nel 1971 il Pakistan Occidentale (che aveva la direzione politica ed economica dei due Pakistan) iniziò un tentativo di unificazione culturale (imponendo come lingua ufficiale l’Urdu al posto del Bangla, che è la lingua ufficiale di tutto il golfo del Bengala) e fu la goccia che fece traboccare il vaso e il pretesto per l’inizio della guerra di liberazione che portò alla nascita nel 1972 dell’attuale Bangladesh. Ma come è evidente anche da noi in Europa, in cui alcune feste pagane si sono trasformate in feste cristiane, la sovrapposizione di religioni che si sono alternate nei secoli, ha portato a delle straordinarie contaminazioni; così i riti Islamici si sovrappongono ai festosi riti Indù che avevano già in parte trasformato il Buddismo, da cui precedentemente erano stati a loro volta contaminati.

Il Bangladesh, Manasa e i serpenti

Cosa c’entra tutto questo con Manasa, i rettili e con la favola morale che cercavo di raccontare agli amici nel tempo di una mostra? È semplice: il Bangladesh è pieno di serpenti di cui molti anche velenosi, durante il periodo dei monsoni (quando tutto il Paese si allaga) i rettili si rifugiano nei manufatti allagati e difendono dagli uomini i loro nuovi rifugi come sanno fare, di solito mordendo. Ricordo che la superficie di tutto il territorio bengalese equivale a metà di quella italiana, in compenso la popolazione che ci vive è di circa 220 milioni di persone. Avete capito bene, la densità della presenza umana è 8 volte superiore alla nostra e questo anche nella capitale, insomma la cosa più rara in Bangladesh è lo spazio vitale, anche per gli animali! Pensate che lo scorso anno in Bangladesh sono morti per colpa dei morsi di serpente oltre 6000 persone, e non vengono morse solo le persone di ceto inferiore, anche Rafiq Dhali il capo della nostra famiglia bangladese (di ceto medio alto) è stato morso da un cobra ed è stato molto tempo in coma. Ma questa è solo la prima parte della storia, quella che spiega le ragioni per cui anche gli islamici cercano di avere Manasa come amica, è un fatto simile alle nostre superstizioni, e ai comportamenti scaramantici che ci costringono ad evitare di passare sotto le scale e ci fanno portare un cornetto rosso, con la scusa: “Io non  credo alla sfortuna, è solo superstizione, ma non si sa mai!”. Nella prossima puntata vi prometto la fine della storia.

 

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Dopo aver chiuso alcune delle mie vite precedenti, quella sindacale (da Presidente FIARC Confesercenti a Roma), quella politica (membro effettivo Commissione Centrale Ruoli presso il Ministero del Lavoro), quella da redattore e autore nel mondo della carta stampata (Acquari & Natura, L’acquario ideale, Le mie prime venti Aloe, Piante Grasse), quella da tecnologo nell’elettronica industriale, quella da segretario nazionale dell’Associazione Italiana Amatori delle piante Succulente (AIAS), quella da libraio (Einaudi) a San Lorenzo a Roma, quella di formatore e consulente (master PNL), finalmente da alcuni anni posso dedicarmi alle mie passioni: lo studio e il restauro di orologi antichi (con lavori citati anche in Wikipedia), l’allevamento e lo studio di tartarughe terrestri, la coltivazione di qualche centinaio di piante, la partecipazione alle attività di associazioni naturaliste scientifiche (ERPISA, bibliotecario SRSN), l’alfabetizzazione del WEB con la lotta alle bufale e alle “credenze” prive di ogni fondamento che imperversano in rete, oltre allo studio e alla diffusione della cultura ambientale. luciano@einaudiroma.it

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