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Amore nell’antica Roma: vietato ai minori e ai romantici

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amore nell’antica Roma

Erano romantici gli antichi romani? Come persona molto pignola che si diletta a scrivere fiction storica, spesso mi vengono poste queste domande e magari un articolo può essere il modo per rispondere in maniera ampia a tutti i dubbi in materia. Leggere di amore nell’antica Roma sarà forse una doccia fredda per molti, ma non c’è nulla di prosaico a inquadrare una realtà per quel che è, anzi.

Amore nell’antica Roma (tra moglie e marito)

Iniziamo con il dire che, se i sentimenti autentici sono uguali a ogni epoca, è anche vero che si concretizzano e si esprimono nelle vie codificate dalla società. E l’amore nell’antica Roma era frequentemente scisso dal matrimonio. Il che non vuol dire che non ci potesse essere passione coniugale, ma semplicemente che la priorità, il focus, era un altro. Isoliamo l’epoca di cui stiamo parlando, togliendoci dalla mente immagini hollywoodiane di opulenza cafona e inverosimile. Anche il ricco impero romano viveva nella società della scarsità, in cui le risorse disponibili condizionavano la vita. D’altronde fino al secolo scorso, un raccolto andato a male voleva dire la morte, un’epidemia di malattie oggi a torto sottovalutate poteva compromettere il futuro di una comunità. L’eccezione a questa regola siamo noi contemporanei. Chiaramente in una società che, per quanto ricca e sana, mira a sopravvivere, la necessità primaria era riprodursi: significava produrre braccia da lavoro o amministratori di “chiara origine” per il patrimonio di famiglia, diciamo così. Va da sé che possiamo scordarci il matrimonio d’amore com’è inteso oggi. Ci si sposava per unire le forze e andare avanti. Nella migliore delle ipotesi tra i coniugi potevano nascere affetto e stima, eccezionalmente nasceva l’amore come lo intendiamo noi. Non era impossibile, intendiamoci, ma non era l’obiettivo dell’unione matrimoniale. Innamorarsi del/della consorte era un caso fortuito e benedetto, come può esserlo un biglietto vincente della lotteria o un buon posto di lavoro dopo i 35 anni nell’Italia di oggi. Per cui no, le giovani patrizie non scappavano con schiavi aitanti per sfuggire al matrimonio combinato con un vecchio senatore: non ci avrebbero nemmeno pensato. L’amore nell’antica Roma era altro.

Amore nell’antica Roma (e amanti)

Il sentimento sconvolgente, che accende i sensi, era qualcosa da riservare ad altre alcove. Era bene che la sposa non fremesse per condividere le sue grazie: se troppo appassionata, era considerata “a rischio”, incline a cercare soddisfazione altrove. Ma d’altro canto le giovanissime mogli spesso erano emotivamente estranee ai mariti più anziani, morivano di parto o sfiorivano in fretta per le gravidanze ripetute. Insomma, il quadro del passato non è roseo: la passione era riservata ai legami extra coniugali. 

Adesso so chi sei: e pure se la voglia aumenta,
sempre di più mi appari indifferente, leggera.
Com’è possibile? dici. Perché una tale offesa
costringe ad amare di più, ma a voler bene di meno.»

(Catullo, Liber, Carme 72)

Catullo dà voce come pochi a questo dilemma. Uomo dall’animo sensibilissimo, vorrebbe amare la sua donna come una moglie, nutrendo per lei un sentimento quotidiano fatto di stima e complicità. Ma avendola desiderata e conosciuta come amante passionale, teme che questo la renda inadatta a un legame sancito ed esclusivo. Catullo voleva qualcosa lungi a venire, difficile a ottenersi – direi, la botte piena e la moglie ubriaca – e aveva anche sbagliato la donna con cui vagheggiarlo. Per andare ancora più indietro nel tempo, sappiamo con chi discuteva di filosofia Pericle, magari dopo l’amplesso: con l’amata cortigiana Aspasia. Non sappiamo invece nemmeno il nome della consorte con cui, nel legittimo talamo, concepì due figli. 

Il mondo del piacere

E poi, va bene, c’è il desiderio. Per soddisfarlo, anche nell’antichità, i modi c’erano. Con molta più naturalezza e meno pruderie dei nostri giorni. La filiazione era legata alla proprietà, l’accoppiamento al piacere. Il che non vuol dire che queste due sfere fossero costantemente scisse, ma sicuramente era un dato considerato normale. C’erano le cortigiane, le amanti, i lupanari che abbiamo ritrovato a Pompei perfettamente conservati, con tanto di affreschi esplicativi. Non posso dire se Messalina davvero li bazzicasse, come si narra, con parrucche e sexy pasties ante litteram. Giovanissima e incantevole, era sposata a un uomo tanto intelligente e colto (l’imperatore Claudio) quanto poco erotico per un’adolescente di tali grazie: non mi stupirei se qualche sciocchezza l’avesse fatta. Altrimenti nessuno l’avrebbe ricordata. Proprio perché la filiazione è legata alla proprietà dalla notte dei tempi, l’adulterio femminile non era ammesso mentre quello maschile sì. In questo senso le dinamiche legate all’amore nell’antica Roma si discostano da quelle di qualche secolo fa solo per una visione più serena e gaudente del sesso.

La bisessualità

Ho ribattuto molto sul discorso amore e matrimonio, sicuramente per una mia deformazione di narratrice: non amo che si attribuiscano modi di pensare moderni a personaggi del passato. Conseguentemente a questi discorsi, c’è un altro punto che reputo importante affrontare. Il piacere si poteva prendere dalle donne, ma anche dai fanciulli. Se in Grecia l’amore tra un uomo adulto e un ragazzo era considerato educativo ed era incasellato in una ricca filosofia di vita e formazione, tra i pragmatici romani le cose erano un po’ diverse. Di bisessualità a Roma si  parlava, ma c’erano alcuni tabù: prendere piacere da un fanciullo sì, riceverlo no. La moglie di Traiano era contenta perché il marito non si svagava con altre donne, ma solo con fanciulli. Come dire: nel suo campo, Plotina non aveva competitor. Adriano ha reso immortale il suo adorato Antinoo, ritraendolo in centinaia di busti. Lutazio Catulo, vincitore di battagliededicava ai suoi amanti poesie in stile greco. Lo spunto per questo spaccato mi è nato da un’altra domanda che mi viene sempre rivolta: Cesare era bisessuale? Alla questione nuda – ops! – e cruda, di solito ribatto con un’altra  un’altra: è così importante saperlo? Cambia qualcosa nella valutazione del politico, del militare? No! A differenza di noi, questo i romani l’avevano già capito benissimo. Ma grazie a questa esuberanza, ci è giunto uno dei pochi esempi di carmina triumphalia: 

tenete in casa le donne
è arrivato il marito di tutte le mogli
e la moglie di tutti i mariti.

Una sorta di stornelli sarcastici, quindi, che i soldati cantavano durante il trionfo, prendendo in giro il comandante con cui avevano affrontato tante privazioni, in un’atmosfera festosa e cameratesca. Se ne abbiamo un frammento, lo dobbiamo proprio al fatto che gli antichi non lo… tenessero nelle mutande. Che, peraltro, non usavano.

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